Con la Mercedes Classe E 220d alla scoperta del Museo Mercedes di Stoccarda
L’IMPORTANTE È PARTECIPARE Ho partecipato alla mia seconda gara di regolarità. Se me lo permettete stenderei un pietoso velo sul risultato finale. Si, è andata a finire come la prima volta. A cambiare sono stati il tragitto, da Milano a Stoccarda, e il mezzo: una Mercedes Classe E 220d Tribute Ponton 1956, una versione speciale della berlina tedesca nata per celebrare i 60 anni dalla vittoria della 220 alla Mille Miglia. La meta? Due posti incredibili: il museo Mercedes di Stoccarda e il reparto Mercedes Classic, dove specialisti si prendono cura di vecchiette provenienti da tutto il mondo. Un caveau ricco di storia e gioielli dal valore inestimabile, naturalmente tutti con la stella sul cofano.
COME MARTY MCFLY La Mercedes Classe E è stata quindi una sorta di macchina del tempo che dal 2017 mi ha riportato indietro nel 1886, l’anno in cui tutto cambiò. Un quadriciclo firmato Daimler e Maybach e un triciclo brevettato da Karl Benz. Entrambi mossi da una novità epocale: il motore a scoppio. Non si viaggiava più trainati da cavalli, ma accompagnati da uno scoppiettio. A guardarli fanno ridere, ma se noi siamo qui accomunati dalla stessa passione per le auto, lo dobbiamo a questi mezzi con ruote in legno e predellini che di comodo penso non abbiano nulla.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE Chissà com’era viaggiare su auto del genere. Il pensiero mi coglie mentre da Stoccarda sto tornando a Milano. La gara di regolarità è persa per colpa del traffico, un problema che di certo non c’era nel 1886. Ma non invidio i pionieri dell’automobile. Anche perché, in caso di ingorghi, la Mercedes Classe E mi avvisa e calcola un itinerario differente per farmi saltare la coda. Allungo forse la strada, ma stare fermo in interminabili file è una delle cose che meno sopporto.
LA PIÙ VECCHIA DELLE MODERNE Sosta. Scendo e provo a fare una foto d’effetto da caricare sui social. Naturalmente nell’inquadratura non può mancare la classica stella cerchiata. Tratto distintivo nato dall’unione del simbolo di Daimler (la Stella, a simboleggiare la possibilità di spostarsi su terra, aria e acqua) e Benz (la corona d’alloro, simbolo di eccellenza). Nasce così la Mercedes che noi oggi conosciamo. Un nome utilizzato già nei primi anni del ‘900 per merito di Emil Jellinek, imprenditore e diplomatico austrungarico di stanza in Francia. Innamorato delle vetture Daimler ne divenne importatore ufficiale per il paese transalpino e convinse il giovane marchio tedesco, guidato allora dal solo Maybach, a costruire 36 esemplari di un’auto sportiva che successivamente chiamò Mercedes, come sua figlia. Nasce così la Mercedes 35PS.
CONTRO IL LOGORIO DELLA VITA MODERNA Si riparte dopo la veloce sosta e davanti a me ho chilometri e chilometri di noia asfaltata. Forse un domani tutti noi saliremo a bordo di auto a guida autonoma, per ora ci tocca sempre sederci al posto di guida. Certo, c’è modo e modo. Con la Mercedes Classe E ad esempio si possono avere cruise control adattivo e sistema di rilevamento dei limiti di velocità. Così la berlina tedesca avanza e frena in totale autonomia. Anche lo sterzo viene gestito dal cervellone elettronico, ma per un massimo di 60”. È un bell’andare. Se penso che sulle auto dei primi del ‘900 bisognava viaggiare per forza in coppia, col passeggero a gestire piccoli manometri per mantenere in pressione l’olio dei diversi cilindri…
LA MERCEDES CON LE ALI Non so voi, ma se penso a Mercedes mi viene in mente un’auto prima di tutte: la 300SL, per gli amici “ali di gabbiano”. Uno stile inconfondibile nato non per un vezzo dei designer, ma dettato da esigenze ingegneristiche: il suo leggerissimo telaio (50 kg) non permetteva di montare classiche portiere incernierate sul davanti.
MA CHE NE SANNO I BIMBI WIFI Sono a metà viaggio e la sveglia presto non gioca certo a mio favore. Lascio così il posto guida al mio compagno di viaggio e inizio a spippolare con lo smartphone. Prima di finire clamorosamente il traffico internet mi collego al WiFi della Mercedes Classe E per poi concedermi una giovane sessione di social network. Le magie della tecnologia moderna. Mi scappa un sorriso a pensare alla parte del museo Mercedes dedicata agli anni ’60. Una W111 collegata da una miriade di cavi a un van infarcito di elaboratori vari per registrare i differenti parametri dell’auto.
STORIE DI UOMINI DI STORIA Mi affascinano gli aneddoti. Come quello che riguarda la Mercedes 300SL Panamericana con barre di ferro sul parabrezza. Una modifica apportata dopo che la coppia Kling-Klenk riportò ferite dovute a un avvoltoio che si schiantò sul vetro. Al suo fianco la mitica Mercedes 300 SLR col numero 722 con la quale un certo Stirling Moss percorse in 10 ore e 8 minuti tutti e i 1.600 km della Mille Miglia del 1955. Si tratta di un record tutt’ora imbattuto.
PRIMATISTA DI SFORTUNA Lungo un tratto di autobahn ho provato a spingere sull’acceleratore, raggiungendo una velocità che terrò segreta. Vi dico solo che come prima cifra non c’era un 1. Eppure all’interno della Mercedes Classe E 220d tutto era tranquillo, col contagiri plafonato intorno ai 2.250 e un quasi surreale silenzio intorno a me. Chissà invece cosa avrà provato Hans Stuck infilandosi a bordo della Mercedes T80, una sorta di missile su (6) ruote mosso da un V12 di 44.500 cc (no, non ho messo uno zero in più) da 3.000 cv. L’intento era quello di diventare l’auto più veloce del mondo. Purtroppo però il periodo era quello sbagliato. L’incredibile bolide infatti nacque nel 1937 per volere di Adolf Hitler e i test si sarebbero dovuti svolgere nel 1938 nel Deserto di Sale e successivamente nel 1940 su un’autostrada con rettilineo di circa 10 km. Purtroppo però la Seconda Guerra Mondiale cancellò i 2 tentativi di record. Voci dicono che (pare) Stuck riuscì a toccare quota 550 km/h in test privati e secondo gli ingegneri tedeschi la Mercedes T80 avrebbe potuto toccare i 750 km/h.