Jorge Lorenzo è il pilota che mette più in crisi le gomme, Marc Marquez, Valentino Rossi e Bautista i più bravi nello sviluppo
Dopo anni di stop, Michelin nel 2016 è tornata in MotoGP come fornitore unico di coperture per la competizione più importante a livello Mondiale. Una sfida delicata e difficile, un progetto capitanato da Piero Taramasso, il responsabile delle competizioni moto dell’Azienda francese. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’evento Michelin Formula Italia e ci ha raccontato come è cambiata la MotoGP negli ultimi otto anni, come si affronta un weekend di gare, come i tecnici lavorino sullo sviluppo e i punti più critici per trovare coperture uguali per tutti che soddisfino moto diverse e piloti con stili di guida molto lontani tra loro.
Buongiorno Piero, attualmente sei il responsabile dell’attività sportiva moto di Michelin, ma la tua storia passa anche da altri traguardi. Quali?
Sì, anche se lavoro per un’Azienda francese, sono italiano. Ho iniziato a lavorare in Michelin nel 1967 e per tre anni mi sono occupato del controllo qualità allo stabilimento di Cuneo. Dal lì sono andato in Francia, ho lavorato per sei anni come collaudatore sui prodotti dedicati al mondo auto e poi sono stato cinque anni in America, nella Carolina del Sud, sempre come collaudatore per il centro ricerca e sviluppo del Nord America. La mia avventura nel motorsport è iniziata nel 2001 con la Formula 1 ed è durata sei anni. Poi nel 2007 e nel 2008 mi sono occupato della MotoGP, gli ultimi due anni prima che Michelin decidesse di smettere perché era stato introdotto il monomarca. Dal 2009 ho continuato a lavorare nelle competizioni di moto, concentrandomi solo sui campionati in cui non ci fosse un regime di monomarca, ma che permettessero un confronto diretto con gli altri costruttori. Sto parlando del Mondiale Endurance, del Campionato Italiano Velocità e del Campionato spagnolo di Velocità. Dal 2010 sono diventato anche responsabile di Michelin per tutte le competizioni mondiali di offroad, quindi la Dakar, Rally Raid, il Mondiale Enduro, cross e Trial. Infine, da quest’anno, sono tornato alla MotoGP.
Tra il 2008, anno in cui vi siete ritirati dal Motomondiale, e il 2016 qual è la differenza principale che hai trovato in MotoGP?
Sicuramente le moto un po’ sono cambiate e ci sono alcuni circuiti su cui non avevamo mai corso. Alla fine, però, i tracciati sono tutti fatti di rettilinei e curve. Non c’è nessuna differenza particolare. Quello che, però, mi ha davvero impressionato è come è cambiato lo stile di guida dei piloti, soprattutto il modo di guidare di Marc Marquez, che si sporge molto dalla moto, è molto efficace, guadagna tanto tempo soprattutto nelle frenate, molto più violente rispetto ad una volta, e nelle accelerazioni fulminee in uscita di curva. Questo sì, mi ha davvero sorpreso e dal punto di vista delle coperture ha richiesto un lavoro importante. E’ proprio questo nuovo modo di guidare la moto che aggiunge molto più stress sulle gomme, sia quelle anteriori sia le posteriori. Prima era il posteriore ad essere molto più stressato rispetto all’anteriore.
Un altro cambiamento importante è stato quello dell’elettronica, che da quest’anno è diventata unica per tutti i team e meno evoluta. Adesso, rispetto al 2008, l’elettronica è molto diversa o più vicina ad allora, visto che non è più adattiva e non si autoregola in gara in base all’usura degli pneumatici?
Onestamente è difficile dirlo, difficile fare un paragone. Di sicuro prima all’interno dei Team c’era molta meno gente che lavorava sull’elettronica, quindi era sicuramente meno sofisticata. Tutte le squadre investivano budget molto più ridotti sull’aspetto elettronico e le moto erano diverse, le potenze erano diverse. Quando hai trenta cavalli in meno da gestire, vuol dire tanto, e anche se il pacchetto elettronico era meno performante, la differenza si sentiva meno. Sul discorso elettronico è giusto fare una precisazione. Rispetto all'Anno scorso, come hai detto, l'elettroncia è meno evoluta, e questo incide anche sul rendimento delle gomme. Fino all'anno scorso la centralina lavorava su enne parametri, oggi sono molti meno, circa un terzo. Questo comporta che, da una parte i team provano per la prima volta quest'anno il nuovo pacchetto e non sempre riescono a trovare il "tuning" giusto per preservare il posteriore durante tutta la gara, dall'altra, se c'è un eccessivo patinamento, che la gomma si surriscalda e questo incide parecchio sull'efficienza e sul rendimento del pneumatico posteriore.
Il ritorno in MotoGP è stato un investimento molto importante e anche un rischio. Perché siete tornati in MotoGP? Non è stata solo un’operazione di brand…
In realtà ci sono due motivi importanti per cui siamo tornati in MotoGP. Il primo è stato quello di accelerare l’innovazione e il trasferimento tecnologico ed è proprio per questo che abbiamo chiesto di passare alla ruota da 17 pollici, dimensione che si usa sulla maggior parte delle moto che si trovano in commercio. Questa è sicuramente la ragione principale. Il secondo motivo è legato proprio al Campionato. La MotoGp è una categoria che ha una visibilità enorme, è molto popolare in tutto il Mondo, in America del Sud, America del Nord, in Asia, in Spagna ed Italia è popolarissima. Quindi la grande visibilità che abbiamo ha giustificato un investimento così importante. Ad esempio, tutta la zona del Pacifico è in forte sviluppo commerciale e la MotoGP è il mezzo migliore con cui farsi conoscere, per questo siamo anche stati sponsor del GP australiano a Phillips Island. Poi c’è anche una terza ragione: Michelin è un’Azienda leader e non può non essere presente nelle competizioni più importanti, sia a due sia a quattro ruote. La MotoGP è la massima espressione delle moto, quindi Michelin non poteva non esserci, è quello il suo posto.
Visti i tanti cambiamenti a livello di regolamento, piloti e moto il lavoro di sviluppo è stato molto complicato. L’anno scorso avete studiato la direzione di massima, però solo in corso d’opera, visto che il vero test per capire se una soluzione sia affidabile e soddisfi tutti è solo quello della gara stessa, avete più volte dovuto cambiare le scelte fatte. Non sempre però un nuova soluzione piace a tutti: come gestite questo aspetto, visto che, come ci ha detto, ci sono tanti piloti diversi, moto diverse e piste differenti?
Lo gestiamo ed è un aspetto molto importante. Infatti quando abbiamo una nuova soluzione logicamente non la mettiamo subito in gara, ma fabbrichiamo pochi prototipi, e questi prototipi li facciamo provare per la prima volta solo ai team factory, quindi solo ai costruttori. Poi se loro ci dicono che la strada è buona, se ci dicono che è meglio del riferimento che abbiamo, allora aumentiamo la produzione e la facciamo provare anche a tutti gli altri team e a tutti gli altri piloti nelle sessioni di test IRTA. Quest’anno abbiamo già fatto Jerez e Barcellona, ci sarà ancora il Lunedi dopo Brno. Quindi la procedura è quella di farli provare a tutti team, ma solamente dopo che tutti hanno dato il loro consenso, che tutti ci hanno detto che sia una buona soluzione, solo allora la introduciamo in gara. Ma non è finita, perché proprio come hai detto tu, il riscontro finale lo possiamo avere solo in gara, solo durante i GP hai 21 piloti, i migliori al mondo, che fanno 30 giri su un circuito alle stesse condizioni di asfalto e temperatura, è solo in quel momento che riesci ad avere una quantità di informazioni enorme sui cui poi ti basi per continuare lo sviluppo. E’ quello che facciamo anche nell’offroad, con la differenza che poi il nuovo pneumatico viene portato direttamente sul mercato e non prodotto solo per i clienti della MotoGP. Sono comunque le gare che fanno da riferimento per capire dove cambiare e migliorare il prodotto che verrà poi introdotto sul mercato per tutti i clienti. Prima la competizione come banco di sviluppo e prova e solo se il prodotto viene apprezzato dai piloti viene messo in produzione.
Tra gli argomenti di cui si è parlato tanto c’è il fattore peso dei singoli piloti. Che in alcune circostanze è stato imputato come discriminante del rendimento. Da una parte ci sono taglie XXS come Dani Pedrosa, dall’altra piloti più alti e pesanti come Scott Redding, Loris Baz o Danilo Petrucci. In percentuale, questo aspetto quanto influenza davvero il rendimento degli pneumatici?
Di sicuro il peso del pilota non è da sottovalutare, direi che incide quasi per un 10%, perché il carico che metti su un pneumatico può cambiare tante cose. Però dico sempre che noi per contratto dobbiamo fornire pneumatici che funzionino per tutti i piloti, leggeri o pesanti, e per tutte le moto, che siano più o meno potenti. E’ per questo che lavoriamo cercando delle evoluzioni capaci di soddisfare tutte le caratteristiche dei nostri clienti, ovvero dei team, senza distinzioni.
Per esempio la Ducati ufficiale è una di quelle moto che hanno risentito di più i cambiamenti in corso d’opera. All’inizio il feeling era ottimo, poi, con la nuova soluzione posteriore della carcassa più rigida è un po’ peggiorato, con Dovizioso e Iannone che lamentano problemi di trazione. Il fatto che in alcune gare, però, le Ducati clienti, con moto più datate come le GP14 o GP15, sembravano andare meglio come lo giustificate? Voglio dire, magari la differenza la fa anche un team che riesce a trovare un setting adeguato a far lavorare bene le gomme e non solo la moto in se stessa, o sbaglio?
E’ vero che le gomme sono cambiate, ma sono cambiate per tutti. Poi ci sono piloti che si sono adeguati più velocemente, altri meno. Sicuramente se una squadra trova un buon setting e le gomme lavorano bene i problemi di trazione sono minori. Però ci sono tanti fattori che possono fare la differenza, anche quelli ambientali, di asfalto, di peso, appunto o di temperatura. I cambiamenti che abbiamo fatto sulle nostre coperture non sono comunque stati enormi, non abbiamo stravolto le gomme, le geometrie sono rimaste quelle, abbiamo lavorato leggermente sul profilo e sulle mescole, ma niente che abbia imposto un cambio radicale delle moto. C’è stato chi si è adattato più velocemente e chi meno, ma, ripeto, abbiamo fatto solo piccoli affinamenti, in linea di massima gli pneumatici sono quelli. Nel caso della Ducati è vero che è quella che sembra più in difficoltà con le gomme che abbiasmo deciso di utilizzare dopo l'episodio di Scott Redding, ma è anche vero che hanno una moto più potente e probabilmente ci sono altri aspetti su cui devono lavorare. Di sicuro le gomme sono ugualiper tutti, le moto e i piloti invece sono diversi.
Quando siete partiti si parlava di migliorare il feeling all’anteriore. Viste le ultime due gare sembra che la strada che avete scelto sia buona e adesso state lavorando sul posteriore. In che direzione?
Sì, stiamo cercando di recuperare un po’ di grip al posteriore, perché ad Austin quando abbiamo introdotto la nuova carcassa posteriore più rigida e robusta, abbiamo dovuto un po’ sacrificare questo aspetto... Quindi stiamo facendo delle piccole regolazioni, delle modifiche, soprattutto nella parte centrale della gomma, per trovare un po’ più di grip e tornare ai livelli del Qatar.
Qual è il pilota che mette più in crisi le gomme come stile di guida?
Devo dire che Lorenzo è quello che come stile di guida mette più in crisi le gomme, perché resta più tempo in piega e affronta le curve con velocità di percorrenza più alte rispetto agli altri stressando di più la parte laterale degli pneumatici. Marc Marquez, invece, frena tardissimo, all’ultimo istante e questo stile di guida stressa molto l’anteriore. Poi c’è Cal Crutchlow che ha uno stile più selvaggio, quindi mette molto in crisi le gomme rispetto agli altri piloti, che sono più dolci e fluidi. Direi che questi tre sono quelli più esigenti in termini di resa delle gomme, poi ci sono piloti come Redding o Hernandez che fanno pattinare molto il posteriore, lo usano per far girare la moto in curva e fare buone traiettorie, anche questo è un aspetto da valutare bene.
E chi ti dà il feedback migliore a livello di sviluppo?
La differenza la fanno i piloti più sensibili a capire il feeling sulla ruota anteriore e in questo i migliori sono Marc Marquez, Valentino Rossi e Alvaro Bautista. E’ più difficile avere un buon riscontro per la ruota davanti, più facile per quella posteriore, li sono tutti allo stesso livello perché è più facile da percepire.
Un altro aspetto di cui si è parlato molto è quello delle alette. Caricano la moto più sul davanti e, di conseguenza, scaricano la ruota posteriore. Come avete affrontato questo aspetto delle moderne MotoGP? Ha influito sul vostro lavoro?
Per noi questo è il primo Anno, e abbiamo pochi dati su cui lavorare. Ci sono stati due circuiti dove c’è stato più patinamento e spinning posteriore, ma non sappiamo bene quanto questo aspetto abbia davvero influito. Però pensiamo che le alette non aiutino, perché c’è più carico aerodinamico sull’anteriore e il posteriore si scarica. Sembrerebbe che questo carico sul davanti abbassi la sospensione di 3 o 4 millimetri, quindi abbassando l’anteriore alleggerisci il posteriore e la conseguenza non è benefica per gli pneumatici perché se tu scarichi dietro, hai meno forza che schiaccia la gomma a terra e quindi, per effetto diretto, tende a pattinare di più, sacrificando la trazione. Poi per quanto ci riguarda che ci siano le alette o meno è ininfluente, basta che ci siano delle regole precise e chiare, poi noi adattiamo i nostri pneumatici di conseguenza.
Ultima domanda, facciamo il punto della situazione: cosa avete ottenuto fino ad oggi e come si compone l’attuale struttura Michelin che segue la MotoGP?
Ad ogni Gran Premio portiamo in pista 1.400 pneumatici e all’interno di Michelin lavorano 25 persone di cui otto o nove sono tecnici, due manager, un chimico specializzato e un designer di pneumatici. Tutta la struttura si sposta con sei camion più un settimo che è l’Hospitality. Allo stato attuale abbiamo cinque soluzioni anteriori e otto al posteriore, con queste siamo in grado di coprire tutte le condizioni meteo e tutti i circuiti del Mondiale. Già nella prima gara in Qatar abbiamo ottenuto risultati importanti come il tempo di gara più basso, il record di velocità massima e il giro veloce. Al Mugello, poi, la Ducati di Andrea Iannone ha fatto registrare il record assoluto di velocità massima, segno che a livello di trazione le gomme funzionavano molto bene (354,9 km/h). Possiamo dire che siamo competitivi, abbiamo trovato una buona soluzione anteriore capace di lavorare con pressioni di esercizio più basse, che piace a tutti i piloti, e stiamo lavorando sul posteriore per avere una migliore mescola centrale e un profilo ottimizzato per una migliore aderenza con angoli di piega intorno ai 55 gradi. L’obiettivo, chiaramente è quello di trovare soluzioni sempre migliori che soddisfino le esigenze di tutti in base ai differenti circuiti e differenti condizioni.