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Di solito ce la si immagina sulla pista di un aeroporto o su una autobahn, lanciata a tutta velocità. Ma la realtà racconta un’altra storia: la Suzuki GSX 1300 R Hayabusa sa essere docile come un agnellino, anche nella vita di tutti i giorni
PRECONCETTI Lo devo ammettere. Non sono mai stato un fan della Suzuki GSX 1300 R Hayabusa. Le sue forme un po’ cicciotte, la sua linea sempre, o quasi, uguale negli anni. Sia quel che sia, sta di fatto che non avendola mai provata non mi era mai andata giù. Tutti preconcetti da troglodita, penso ora, perché dopo un paio di settimane in sua compagnia non volevo più scendere. Ma andiamo con ordine.
TRUE STORY Tutto è cominciato quando la Suzuki GSX 1300 R Hayabusa è arrivata in redazione. La balena bianca l’ho ribattezzata subito simpaticamente, con quelle sue forme da supersportiva un po’ ingrassata e i due tubi di scarico a mo’ di mortaio. Ed è in quel momento che è arrivata la telefonata: “Ti andrebbe di partecipare all’Hayabusa Italian Meeting 2013?”. Quale occasione migliore per capire cosa si nasconde sotto le sue carene paciose e per provare a conoscere il suo mondo? “ Ci sono!”.
E ANDIAMO! Arrivato di buon mattino a Villa Dolfin a Porcia, teatro dell’Hayabusa Italian Meeting 2013, c’è già qualche Hayabusa che fa la passerella. E quello che mi balza all’occhio, vedendole parcheggiate una affianco all’altra, è quanto sia cambiata la nuova versione rispetto alla prima. Le linee sono più raccordate, le pinze freno sono quasi grosse il doppio. Tuttavia, c’è un filo di continuità tra i due modelli, non c’è uno stacco prepotente ma solo una naturale evoluzione. Non ho mai guidato la vecchia, ma venendo al raduno mi è già chiaro perché l’Hayabusa abbia uno stuolo di fan così ben nutrito: è dolce, stabile e rassicurante, aggettivi che non pensavo si potessero applicare a una moto da 198 cavalli. Sembra trovare la sua andatura naturale sopra i 200 km/h, come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
LA CREW Nel corso della mattinata, il parco di Villa Dolfin si riempie di Hayabusa e relativi proprietari. Che scopro essere dei veri e propri aficionados nei confronti della proprio moto. Non c’è nulla da fare: nonostante i miei coloriti racconti su altre moto che mi è capitato di provare recentemente, il loro interesse è sempre relativo, vogliono sapere cosa ne penso dell’Hayabusa. “Dopo che provi un’Hayabusa, tutto il resto non conta più”, questo il genere di frase che sento più spesso parlando con i proprietari. Un vero e proprio circolo esclusivo, fatto di modifiche e passione.
DI TUTTI I COLORI Nel frattempo, per l’ora di pranzo sono arrivati quasi tutti i partecipanti, provenienti un po’ da tutta Europa: più di 60 moto dai luoghi più disparati, tra cui Germania, Olanda, Slovenia e addirittura l’isola di Malta. Un vero e proprio calderone, anche perché tra le moto arrivate ce ne sono davvero di tutti i colori. A titolo d’esempio cito la più eclatante: un’Hayabusa prima versione con kit turbo, data per circa 400 cavalli. Intercooler, frizione, carene, di originale forse sono rimaste le viti del carter ma non ne sono certo. E parlando con il proprietario, un tedesco di quelli che hai paura a fissarlo troppo a lungo negli occhi, si dice abbia raggiunto i 380 km/h su un’autobahn e circa i 410 km/h sulla pista di un aeroporto. Serve altro?
CURVE E TORNANTI Nel pomeriggio è finalmente l’ora di fare un bel giro in moto tutti assieme, a mo’ di gita di classe delle medie. La meta è Piancavallo, località montana che prevede un bello snocciolarsi di curve e tornanti. Ed è anche il momento in cui scopro perché l’Hayabusa piaccia così tanto a chi la possiede: non è la moto più veloce per il passo ma il motore ha un’elasticità tale che con la terza marcia si fa praticamente tutto. Mi dimentico del cambio e mi concentro sulla guida della Suzukona, e scopro essere una delle moto più rigorose che mi sia capitato di provare. Certo, non si può definire reattiva o svelta ma sono sicuro che guidandola, più di un motociclista tra quelli che conosco rimarrebbe stregato dal suo motore e dalla sua guida tutta d’un pezzo.
OLD SCHOOL Durante il giro, mi offrono la possibilità di provare una vecchia versione dell’Hayabusa, quella che per molti è semplicemente “la vera Hayabusa”. E dopo pochi metri mi è già chiaro dove siano andati 10 anni di sviluppo: la vecchia ha un motore molto meno fluido anche se più pieno ai bassi regimi, attacca prima ma finisce anche prima, senza peraltro quella pulizia di erogazione che l’ultima versione ha. Altra differenza enorme sono i freni: la potenza delle pinze assiali fa quasi sorridere se paragonata alle ben più performanti Brembo radiali di oggi. Tuttavia, provandola capisco perché molti preferiscano il suo carattere più rude e meno perfettino del model year 2013. Dopotutto, il fascino della bestia indomabile, mostruosa, all’ultima arrivata manca un po’.
CANTI E BALLI È arrivata l’ora della cena, tutti attorno a una bella tavolata a mangiare piatti tipici. Ma soprattutto a raccontarsi storie, che tendenzialmente non scendono mai sotto i 250 km/h. Chi ti racconta di quella volta al Mugello, che con la sua Hayabusa ha fatto piangere più di una sportiva, chi invece che quella volta in Germania non è mai sceso sotto i due-e-sessanta…tutti hanno da dire la loro, ognuno a modo suo. Ecco perché l’Hayabusa è tanto speciale: perché è una moto un po’ a sé, fuori dagli schemi, ma nell’esserlo unisce i proprietari di tutta Europa. E non molte altre moto possono vantarsi di poterlo fare.
In questo servizio:
Giubbotto: Alpinestars T-Dyno Air
Casco: Nolan N44
Pantaloni: Alpinestars Axiom Kevlar
Scarpe: Alpinestars Joey WP