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Prova su strada

Suzuki GSF 600 Bandit


Avatar Redazionale, il 18/05/01

23 anni fa -

Wanted! Continua la caccia al Bandito. Potrebbero essere in tanti a puntarlo: motociclisti alle prime armi, centaure con il coltello tra i denti, scooteristi pentiti, novelli turisti in vena di macinare chilometri. La taglia è di 13.980.000 lire sull'unghia. Sono soldi spesi bene, ve lo assicuriamo noi che lo abbiamo catturato. E ammanettato in box.

COM’È Il fuorilegge in questione è schedato sotto il nome di Suzuki GSF 600 Bandit. Viene da lontano, dai primissimi anni ‘90, quando le naked non se le filava nessuno e Suzuki invece guardava lontano. E vedeva bene oltre che nudo, perché poi il boom delle svergognate sarebbe esploso sul serio. Aveva mandato in avanscoperta il più piccolo della banda, il GSF 400, un urlatore a quattro cilindri, truce e cattivo. Poi arrivarono gli altri componenti: il capo era il forzuto 1200, ma il più furbo era senza dubbio il 600. Suzuki fu anche la prima a rivestire i suoi Banditi. E anche in questo caso vide giusto. Però il fazzoletto che gli legò al collo (o se preferite la mezza carena) era davvero triste e bruttino. Poco male, l’anno scorso è arrivato un nuovo bavaglio e la Suzuki 600 Bandit S si è fatto bello.

SGUARDO CATTIVO Doppio faro aggressivo come pochi, forme morbide ed equilibrate, un plex sinuoso pronto a fendere l’aria. Il brutto anatroccolo del precedente cupolino è diventato il più coinvolgente della categoria. Ha un pregio in particolare: di sicuro non appiattisce lo stile della moto e non la rende affatto anonima. A dire il vero la versione nuda della Bandit 600 è ancora quella più equilibrata ed affascinante, con il suo faro tondo e cromato, i due strumenti che spuntano come una volta. Nuda è meglio per l’occhio, ma quando poi c’è da fare chilometri sono dolori (veri, non per dire). Così, tra le Bandit 600, noi abbiamo preferito catturare quella con la mezza carena, contraddistinta dalla lettera S.

OLTRE IL MAKE UP

La semicarena comunque non è l’unica modifica arrivata con il model year 2000. Anzi, la Suzuki Bandit 600 è stata rivista davvero a fondo, anche se poi lo schema generale e soprattutto il look (cupolino a parte) sono rimasti praticamente identici.
La riprova si può fare con le versioni nude della Bandit: mettete fianco a fianco quelle prima e dopo il restyling: ci vuole Michele l’intenditore per distinguerle al volo. Lavoro di fino, dunque, per migliorare un prodotto già valido: la Bandit colpisce proprio per la eccellente qualità generale, dalle verniciature ai minimi particolari.

TELAIO RIVISTO

Gli interventi più importanti hanno riguardato il telaio, che mantiene comunque la sua spiccata personalità. Lo scheletro è sempre un avvolgente doppia culla in tubi, originale soprattutto nella parte superiore, dove due tubi dritti e di grosso diametro vanno ad unire il cannotto con la zona sotto sella. Il telaio della Bandit è un elemento accattivante e di indiscutibile richiamo. Se poi gli si "appoggia" sopra un serbatoio smilzo e mosso nelle forme, è ancora meglio.
Il codino è slanciato e sparato verso l’alto, i fianchetti neri vanno addirittura ad abbracciare la batteria di carburatori. Tutte le sovrastrutture sono state riviste, il risultato parla da solo: la nuda Suzuki fa davvero la sua scena.

OLIO FREDDO

Dimenticavamo il motore, il buon vecchio quattro cilindri raffreddato ad aria e olio: anche lui diventa protagonista con la sua inconfondibile alettatura del blocco cilindri, il grosso carter frizione e il colore grigio mat. Almeno a livello visivo è un’altra cosa rispetto a certi anonimi colleghi piatti sulle fusioni e poi martoriati da tubi e tubetti vari. Questo 600 16 valvole arriva dritto dritto dalla fine degli anni ’80, quando aveva l’onore di spingere le iper sportive Suzuki. Ha il vantaggio di non richiedere un ingombrante radiatore dell’acqua (di solito difficile da nascondere su una nuda) perché utilizza l’olio motore per raffreddare le teste e l’aria per i cilindri.
Negli anni non è mai stato ritoccato più di tanto, fondamentalmente perché va bene. Unica concessione in quest’ultima versione il sensore TPS, che accorda l’accensione elettronica alla batteria di carburatori Keihin da 32 mm.

DI TUTTO UN PO’

Altre rivisitazioni nell’ultima versione riguardano le quote ciclistiche (la forcella è più "in piedi", ma l’interasse è aumentato), le gomme un po’ più larghe, le pinze freno che hanno i pistoncini più grandi. I dischi invece rimangono tre e di uguale diametro. La sella è un po’ più scavata nella zona del pilota. Poi, come dicevamo, c’è stato un gran lavoro sui dettagli: dai curiosi tubetti che reggono il cromatissimo quattro in uno alle pedane del passeggero, ai "pirolini" (non ci viene in mente un’espressione più immediata) per fissare il bagaglio con un elastico, di una comodità mostruosa. Andando a cercare il pelo nell’uovo troviamo uno spazio sotto la sella più ampio e il cavalletto centrale che ora è di serie. Tutta roba che male non fa.

PREZZO OK

Ci è piaciuta parecchio la strumentazione di gusto classico, con contagiri e tachimetro incappucciati in due bussolotti cromati. Una concessione ai nostri tempi è il piccolo display digitale. Non è che ci faccia impazzire l’idea, ma gli diamo comunque il benvenuto perché prevede due contachilometri parziali e l’orologio, funzioni davvero importanti per i viaggiatori di lungo corso. Non c’è invece né indicatore benza né spia, per cui bisogna affidarsi al tradizionalmente scomodo rubinetto. Una pecca minima in un mare di belle cose, quindi ci tocca ribadire il concetto sulla taglia del Bandito: 14 zucche spese bene.

COME VA Questa Bandit 600 è una moto che può fare parecchie cose, e tutte abbastanza bene. È molto portata al turismo, ad esempio, perché la posizione di guida è senza dubbio comoda e il riparo aerodinamico eccellente per viaggiare anche a medie da Intercity; oltretutto non è un problema montare borse laterali e bauletto. Il passeggero per una volta è trattato con il rispetto che si merita un essere umano, con le pedane al posto giusto e un bel maniglione dove attaccarsi; anche se le moto molto comode per l’ospite sono altre…ad esempio la GSX 750, tanto per rimanere tra le nude Suzuki. A proposito, non sarebbe proprio una cattiva idea piantare anche sotto a questa Bandit il motore aria-olio da 750 cc. Non dovrebbe essere così difficile. Per carità, il 4 in linea 600 va benissimo, ha prestazioni discrete e un’affidabilità sconvolgente. Oltretutto beve poco, perché i16 con un litro ci sono sempre e andando a spasso si fanno anche i 20. Però il fatto che giri così tanto per nulla, che fino a 6500 sia pigro e vuotino non fa piacere ai turisti. Anche loro sono pigri e non vogliono usare il cambio, quei 150 cc in più del settemmezzo farebbero davvero comodo. Comunque, mal comune mezzo gaudio…anche le altre naked 600 non è che siano dei mostri di tiro ai bassi, d’altronde sommando 4 cilindri da 150 cc non si fa un 750. I centimetri cubi sono sempre centimetri cubi.

SPORTIVA?

ABBASTANZA E allora ribaltiamo il discorso: se il motore gira tanto e frulla volentieri agli alti regimi piacerà agli smanettoni. Giusto, con 77 cavalli a disposizione ci si può divertire parecchio, perché cambio e frizione lavorano molto bene e permettono di gestire al meglio il caratterino pepato del 600 Suzuki.
Basta tenerlo su di giri per schizzare via con un coinvolgente sibilo a mo’ di colonna sonora. Dai 160 di crociera si può balzare a più di 220 indicati. Niente male! La ciclistica è sana, i freni ci sono, l’assetto in sella è giusto. Leggermente protesi in avanti si domina il mezzo alla grande, si è pronti a tutto. La guida è intuitiva e la Bandit scende in piega senza fare scherzi. Il peso non è piuma - 211 chili a secco – ma non dà assolutamente fastidio, la maneggevolezza invita a cercare i percorsi guidati. La stabilità nei curvoni è piacevole.

MOLLICCIA

Se si forza il ritmo la forcella va però in crisi, perché è troppo morbida, mette in soggezione e nei tornanti toglie feeling con la ruota anteriore. Nel misto, invece, fa dondolare la moto, sembra ci sia una spugna tra il manubrio e l’asfalto. Comunque niente paura, la GSF 600 si guida bene pennellando le traiettorie, cercando una guida pulita e rotonda, prediligendo un’uscita di curva veloce alla staccata violenta. Certo che una forcella più corposa e con la regolazione nel precarico molla renderebbe la moto un gioiellino. OK, l’input noi l’abbiamo dato: con una forcella giusta e il motore settemmezzo la Bandit sarebbe la moto più bella del mondo, perlomeno quanto la sorellona 1200 che ci fa tanto impazzire. Ma la 600 è così e così dobbiamo tenercela. Ed è un gran bel tenersi…ammettiamolo, col nostro occhio clinico non ci va mai bene niente.

OTTIMA PER INIZIARE

Non volevamo incattivirci…a noi il Banditino piace un sacco. Era solo questione di dare un paio di dritte ai più scafati; a chi cerca la prima moto diciamo invece che può prenotare un Bandit a occhi chiusi. È facile, facile davvero, con quel motorino che frulla regolare a tutti i regimi. Gira bene anche a 2000 e sale innocente fino a 7000, poi cambia carattere ma senza mettere in difficoltà. Altri pro? Si appoggiano giù bene i piedi, le reazioni della moto sempre ben prevedibili. Per andarci in vacanza va benone, ci viene da pensare che la forcella morbida sia quasi la scelta giusta per privilegiare il comfort.

MEZZE CARENE ALL’ASSALTO

La seminuda Suzuki può infatti mostrare un’altra sfumatura, quella di ottima alternativa alle più impegnative e costose sport tourer, quelle che se ti cadono dal cavalletto fanno rimpiangere il conto del dentista. Tra l’altro anche una sport tourer è una scelta di compromesso, e non può quindi essere guizzante, rigorosa e aggressiva al pari di una sportiva pura.
Le naked rivestite vanno proprio prese in quest’ottica, come delle eccellenti tuttofare. Quello che era una volta il ruolo delle mono enduro, che però in autostrada poi sbuffavano.
La Bandit S invece è veloce…e non solo: in città si guida parecchio volentieri, docile e con i suoi comandi morbidi. Costa poco, non ha bisogno di grandi cure, non si rompe. È anche accattivante. Come dicevamo, sa fare parecchie cose e le sa fare tutte piuttosto bene.

Pubblicato da Spartaco Belloni, 18/05/2001