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Paolo ha provato la nuova Honda Africa Twin: ecco cosa ne pensa
VITE PARALLELE L’Honda Africa Twin rappresenta nella mia storia di motociclista un sogno non ancora realizzato. Quando a vent’anni o poco più comprai la mia prima enduro dakariana preferii la semplicità di una Yamaha Ténéré 600 (la 3AJ del 1988, la prima con il doppio faro, tanto per capirci) mentre quando passai al bicilindrico, qualche anno più tardi, la scelta cadde su una Transalp, per motivi di budget.
RAPPORTI OCCASIONALI Venduta quella ho cambiato genere e la mie esperienza con le Africa del passato si limita a qualche decina di chilometri con una RD03 e poco più con una RD07, più che sufficienti, però per capire di che pasta fossero entrambe le moto. Ebbene, sulla scorta di quei ricordi, credo che la nuova Africa Twin sia la loro degnissima erede.
SOTTO LA LENTE Ok, non avrà un serbatoione da tappa marathon nel Sahara e alcuni dettagli sono un po’ borghesi (le frecce, per fare un esempio) ma trovo che la nuova generazione abbia le carte in regola per fare scendere la classica lacrimuccia a molti nostalgici. Ciò vale soprattutto per la variante tricolore, quella più evocativa, ma anche questa grigia arrivata in redazione ha un suo perché. La qualità percepita è molto elevata e potrei fare un lungo elenco di componenti che trovo realizzati in modo sopraffino ma su questo argomento lascio parlare le foto.
TAPPETO VOLANTE Voglio concentrarmi piuttosto sulle impressioni di guida, perché questa moto è una delle poche capaci davvero di lasciare il segno, di svettare sopra la media. Come? In primis grazie alle sue sospensioni, che digeriscono qualsiasi buca o ondulazione… come se al loro interno ci fosse il Fernet al posto dell’olio. Battute a parte, la nuova Africa Twin viaggia sul dritto a mo’ di tappeto volante, con poche vibrazioni e con una discreta protezione aerodinamica. Il resto lo fa la sella regolabile su due livelli (io, che sono alto 183 cm, preferisco la posizione più alta), comoda e capace di creare una triangolazione perfetta con il manubrio e le pedane. I comandi sono promossi a pieni voti, specie a livello della trasmissione. La frizione non ha la leva regolabile? Si può chiudere serenamente un occhio e godersi un funzionamento dolcissimo e un gran gioco di squadra con il cambio, preciso e sempre impeccabile. Il DCT? Spero di provarlo presto, perché mi piace molto sulla famiglia dei 750 e qui mi aspetto molto.
TELEPATIA Quanto alla guida, l’Africa Twin 1000 si conferma una Honda Doc, una di quelle che ti sembra di avere da sempre anche se ci hai fatto appena un centinaio di metri. Gli ingegneri sono riusciti a ricreare ancora una volta questa magica alchimia, con la moto che pare un’estensione del corpo, da guidare con il pensiero. Se si valuta l’Africa con il metro da crossover sportiva, si può magari dire che la forcella potrebbe essere più sostenuta, sotto l’azione di un impianto frenante con i fiocchi, e che, quando si forza il passo, la ruota anteriore da 21” allarga un po’ la linea. Tuttavia fare certi ragionamenti mi pare sbagliato: l’Africa Twin sembra voler rispolverare un altro modo di andare in moto, senza barriere, senza stress o frenesie e senza bisogno di dimostrare chissà cosa.
FACTOTUM Anche il motore sfugge alle logiche del “ce l’ho più grosso io”. Con il suo litro di cilindrata e un centinaio di cavalli, il bicilindrico parallelo ricorda a tutti come l’equilibrio sia spesso una soluzione ideale e lo fa con una voce che ricorda un pochino quella delle antenate. Ha un tiro regolare e un’erogazione pulita, che farà la felicità – tra gli altri - dei motociclisti di ritorno. D’altra parte ha anche una bella castagna quando si stuzzica l’acceleratore e non si tira indietro se gli si chiede di fare gli straordinari e di allungare verso la zona rossa. Difficile chiedere di più…