In cura dai graffittari la piccola di famiglia
SPRAY E AUTO Magari se vi fanno una incisione vi firmano le fiancate con la bomboletta spray ve la prendete. Ottusi retrogradi. C'è chi invece mette a disposizione la propria auto come una tela (o un muro) per farsi graffittare la carrozzeria. Niente a che vedere con il grafitaggio, procedimento in uso anni fa per proteggere il sottoscocca dai danni dell'inverno: qui si parla di graffiti, quelli spray dei writer, i graffittari appunto.
TRIENNALE È Volvo ad andare incontro a questa moderna forma di arte, applicata spesso e volentieri in luoghi inopportuni come muri appena ripuliti e monumenti. Lo ha fatto con una iniziativa a cura di Gabriele Miccichè e Alessandro Mininno, e con la supervisione dell'occhio attento di Triennale Bovisa, sede distaccata di Triennale in un quartiere rallegrato dai colori vivaci dei graffiti.
IL CALENDARIOUrban Art Show inizia a Milano, proprio negli spazi della sede Bovisa della Triennale. Bean One si mette all'opera con il suo kit di bombolette e la C30 nera diventa un'opera di arte moderna. Lo show continua in sette piazze italiane: Bologna (14 aprile), Milano (21 aprile), Firenze (28 aprile), Bari (5 maggio), Roma (12 maggio), Torino (19 maggio), Palermo (26 maggio).
DUE RIGHEDue writer per ogni piazza, in un contest che li vedrà sfumare i colori su tele, pronte a tornare al punto di partenza del Volvo Urban Art Show, pronte a essere trasferite a Triennale Bovisa per una mostra che avrà luogo a giugno. Ma come nasce il writing? E come si arriva al Volvo Urban Art Show? Ecco due righe ufficiali, interessanti, che meritano di essere riportate.
"Era la fine dei Settanta e New York ribolliva di sottoculture: era la risposta, prepotente, che la realtà statunitense dava agli omogeneizzati Cinquanta, alle cocenti delusioni dei movimenti politici e libertari dei Sessanta, al nascente brandalismo, ai persuasori sempre meno occulti. Il Sistema veniva rigettato in toto, l'unica realizzazione possibile era fuori dal sistema dei consumi e della propaganda pubblicitaria, uscire dal tracciato, sballare, scappare (in senso reale o metaforico, con la moto o con la metanfetamina). È in questo contesto che nasce il graffiti writing, da una necessità di espressione, non da un volere artistico.
Questi trent'anni hanno visto il progressivo assorbimento e assolvimento di tutte le sottoculture, dal punk al grunge, con un movimento di progressiva commercializzazione e neutralizzazione. Nemmeno l'hip hop ne è uscito indenne: l'art system cerca di fagocitare i graffiti dai primi anni Ottanta e il lettering nato sui treni di New York è diffuso da tempo anche sui quadernoni a quadretti di Civitavecchia. Eppure, nonostante tutto, i graffiti sopravvivono nelle strade e nei depositi dei treni. Sopravvivono? Macché sono più vivi che mai (come dimostrano, se ce ne fosse bisogno, le mille campagne antigraffiti e le mille mostre pro-fintigraffiti).
Questa sottocultura ha trent'anni, e non li dimostra. Stili nuovi nascono ogni giorno. Tecniche innovative, materiali diversi, nuovi mezzi di diffusione del proprio stile e del proprio nome, del proprio personal brand. Le somiglianze con le modalità della comunicazione pubblicitaria, all'occorrenza, non sono poche né difficili da individuare: la trasformazione del proprio nome in un logo, la ripetizione del messaggio fino alla saturazione cerebrale dell'osservatore (si pensi al brand "Dumbo"), il posizionamento nei luoghi di maggior passaggio, l'utilizzo massiccio dei mezzi pubblici come veicolo per il proprio messaggio. Che è un messaggio, in fin dei conti, buono. Sono qui, e ti porto il mio stile. Il mio prodotto sono io. Il mio nome è la pubblicità di me stesso.
Per questo, se il mondo dell'advertising si fa mecenate di quello del writing, ci viene difficile storcere il naso: la propaganda è il cuore di questa forma di vandalismo. In questo caso, abbiamo fatto in modo che l'advertising finanziasse il writing più vero e al contempo evitasse ogni ingerenza nel merito delle opere. Il writing, i graffiti, sono quello che c'è per strada e nei depositi, giammai quello che c'è nei musei e nelle gallerie.
Se di writing si tratta, urge presentare il writing vero. Le lettere e i suoi virtuosismi, non i puppet. I vandali, non gli artisti. Per questo - e per dimostrare che anche le operazioni commerciali possono avere un cuore scientifico - ci siamo sforzati di scegliere nomi nuovi, ragazzi giovani, attivi e originali. Quindici writer veri, fuori dal sistema dell'arte contemporanea, lontani dalle speculazioni meneghine. L'unica forzatura è farli dipingere su tela, un supporto artificioso e innaturale. Ma sarà l'unica limitazione.
Non chiedetegli cosa c'è scritto, per favore: trent'anni di writing non ammettono ignoranza. Non chiedetegli se vi dipingono la cameretta, dipingerebbero la facciata del vostro palazzo. Speriamo che non vi piacciano. Perché il writing è il brufolo sulla schiena del sistema, proprio lì dove la mano del controllo non può arrivare: non importa quanto balsamo vi verserete nel colletto: questa piaga continuerà a prudere."