Dici V4 e pensi subito alla Ducati Panigale, recentemente rinnovata e protagonista di una delle più agguerrite edizioni della Race of Champions. Giusto, d’altronde dal suo arrivo nel 2018, la supersportiva è stato un successo in termini di vendite (nei suoi primi anni di carriere fu di gran lunga la sportiva più venduta) ma anche tra i cordoli, con Bautista 2 volte Campione del Mondo. Forse non tutti sanno però che il primo V4 della Casa di Borgo Panigale nacque ben prima, nella metà degli anni sessanta, ma quella volta non fu un successo… o per lo meno non del tutto.
MISSIONE APOLLO Nella metà degli anni ’60, Ducati produceva per lo più motori monocilindrici di “piccola” cilindrata, ma dal suo importatore per gli Stati Uniti d’America, Joe Berliner, arrivò una richiesta che sembrò una sfida, di quelle emozionanti che caratterizzavano quel periodo storico dove l’uomo cercò di spingersi oltre, sempre: realizzare la moto più bella e potente in circolazione, in grado di sfidare Harley-Davidson e “soffiarle” la commessa per la fornitura delle moto alla polizia. Per farlo i 350 presenti in gamma a quel tempo non bastavano, serviva una moto grossa, robusta e potente, una bella sfida… Ma Ducati accettò, anche perché poteva contare tra le sue fila di quel genio di Taglioni, sì, il papà del Desmo e dei bicilindrici a L, tutti derivati dal V4 pensato per la Apollo V4.
Ducati Apollo V4: Berliner, Taglioni e Montano con il primo prototipo e il motore V4
ESAGERATA Il motore V4 è stato un cavallo di battaglia dell’Ingegner Taglioni, che lo aveva presentato come tesi di laurea vent’anni prima. Quello della Apollo è nato in pochi mesi, giusto il tempo di rispolverare i concetti e capire come ottimizzare alcune soluzioni. Ne uscì un motore – ovviamente con schema a V4 a 90º, con una ha una cilindrata di 1.260 centimetri cubi, in grado di erogare circa 80 CV a 6.000 giri all’albero in cofigurazione Gran Turismo (con carburatori da 28 Dellorto) o 100 CV a 7.000 in configurazione Sport (carburatori sempre Dellorto ma da 32). Non è stato semplice imbrigliare la verve della Apollo 1260, tanto che fu necessaria una catena Duplex (ovvero doppia) per evitare che questa di allungasse o addirittura rompesse sotto l’effetto dell’acceleratore. Prestazioni che le consentivano di raggiungere circa 200 km/h (stiamo parlando degli anni ‘60 e di una moto senza carenatura), roba mai vista o quasi.
COLOR CHE SON SOSPESI I numeri annunciati di un successo? Purtroppo no, la Ducati Apollo e il suo V4 non vennero mai prodotti in serie. Perché? Da un lato, i produttori di pneumatici non avevano ancora sviluppato prodotti adatti per una moto così pesante (270,5 kg) e potente. D’altra parte, Joe Berliner commissionò il progetto a Ducati con specifiche troppo legate a quelle necessarie alle forze di polizia: finita la Apollo V4 costava ben di più di una Harley-Davidson (il doppio), la polizia si disinteressò e così fece naufragare l’idea di Berliner (che riuscì nella fornitura di moto alla polizia americana qualche anno dopo con le Moto Guzzi) e Ducati. Ne furono prodotti due prototipi, di quello dorato che vedete in copertina se ne persero ben presto le tracce, ne venne realizzato un’altro nel 1965, leggermente diverso nella colorazione, nella forma del manubrio e in quella del serbatoio. Questo finì addirittura in Giappone, acquistato da Hiroaki Iwashita ed è tutt’ora l’unico esemplare esistente, conservato nel museo Ducati, donato dal suo proprietario nel 1996, proprio in occasione dell’apertura di quest’ultimo.
Ducati Apollo V4, l'unico esemplare rimasto al mondo è esposto al museo Ducati
CHIUSA UNA PORTA… Come dice il detto: chiusa una porta, si apre un portone. Taglioni non si fece scoraggiare dall’insuccesso della Apollo, anzi. Quel motore, forse esagerato per il tempo, l’ingegnere se lo era già immaginato “dimezzato” per il lungo, proprio da quel V4 nacquero tutti i bicilindrici a L – in seguito con distribuzione Desmo – che resero leggendaria la Ducati, dalla 750 GT del '71 fino ai giorni nostri.