Tutti con casco integrale e tuta in pelle con paraschiena obbligatori anche anche per andare a prendere un caffè? Potrebbe succedere. La questione nasce da una iniziativa di alcuni Senatori, mentre le associazioni di categoria sembrano cadere dalle nuvole...
OCCHIO ALL'ARTICOLO Il tam tam nel web e sulle riviste di settore è iniziato da poco, ma l'effetto dirompente di quanto sta venendo alla luce in queste ultime settimane ha già creato un "caso". La preoccupazione crescente è relativa a un emendamento (il 20.2) su un Disegno di Legge del Senato (1720) il cui scopo principale sarebbe una profonda riorganizzazione delle regole del Codice della Strada: dall'uso dei pneumatici invernali, alle categorie di veicoli utilizzabili per servizi di noleggio, dalle regole anti-elaborazione, fino al fantomatico Art. 20 che recita:Modifica agli articoli 171, 172 e 182 del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di uso del casco protettivo per gli utenti di veicoli a due ruote, di uso delle cinture di sicurezza e di circolazione dei velocipedi.
OMOLOGA E BRETELLE L'articolo in questione, però, nel testo originale del DDL ha il solo scopo di modificare i riferimenti normativi relativi all'omologa dei caschi, assoggettandola a regole comunitarie e non più a quanto predisposto dal Ministero dei Trasporti. A questo intento, poi, ne aggiunge altri due: l'esenzione dall'uso del casco per velocipedi a favore di alcune categorie speciali e l'istituzione dell'obbligo per i ciclisti di indossare bretelle riflettenti da mezzora dopo il tramonto a mezzora prima del sorgere del sole e nel caso percorrano gallerie. Nulla, quindi, che dovrebbe allarmare chi utilizza la moto…
UNDICI SAGGILe cose si complicanoquando un nutrito gruppo di zelanti Senatori del PD (Filippi, Bubbico, Donaggio, Fistarol, Magistrelli, Morri, Papania, Sircana, Vimercati, Zanda, Ranucci) decide di proporre un emendamento volto a introdurre regole estremamente restrittive per ciò che riguarda l'abbigliamento tecnico da utilizzare in sella ad una moto. Si tratta, tuttavia, di una norma che, qualora venisse approvata in toto, renderebbe l'uso della moto una faccenda piuttosto complicata e laboriosa, oltre ad aprire altre questioni importanti.
PROTEZIONE A SCAGLIONI Brevemente, il testo proposto imporrebbe a chiunque l'uso del casco integrale. Da qui, una segmentazione fatta sulla base della potenza espressa dal veicolo porterebbe ad ulteriori restrizioni: per moto o scooter dagli 11 ai 25 kW, infatti, diventerebbero obbligatori il casco integrale, i guanti e un giubbotto tecnico con protezioni per spalle e gomiti. Per i possessori di moto con potenza compresa fra i 25 e 52 kW, poi, diventerebbe obbligatorio anche il paraschiena, mentre per chi avesse una moto con più di 52 kW, l'alternativa sarebbe solo fra una tuta tecnica o un abbigliamento tecnico composto di giacca e pantaloni con protezioni complete.
PIEDI AL FRESCO Il primo commento spontaneo è che, per alcuni Senatori, tutti gli adolescenti d'Italia o i proprietari di ciclomotori in generale hanno il diritto inalienabile di grattugiarsi le mani (o qualunque altra parte del corpo) sull'asfalto, purché indossino un casco integrale. Non solo, a emendamento approvato, i motociclisti italiani potranno andare in giro con la tuta di Valentino e le infradito... Manca completamente, infatti, un accenno alla protezione dei piedi che, invece, rappresentano una della parti del corpo statisticamente più a rischio negli incidenti in cui è coinvolto un mezzo a due ruote.
I DATI CI SONOLo scorso anno, per esempio, l'ACEM, l'associazione dei costruttori di moto europei, ha reso noti i risultati di uno studio statistico (MAIDS) sulle cause e le conseguenze degli incidenti motociclistici, dati che però non sembrano essere stati presi in considerazione dai promotori dell'emendamento. Primo: le estremità inferiori sono quelle con la più alta frequenza di danni riportati, il 31,8%, contro il 24,3% delle estremità superiori e il 18,4% della testa. Secondo: il 75% degli incidenti avviene a velocità inferiori ai 50 km/h – per cui un guanto tecnico potrebbe essere utile a prescindere dal tipo di moto o scooter usato.
BUON SENSO DI LEGGE Quello che è certo, però, è che quando si va per terra bene non ci si fa, per cui una norma tanto rigida appare come un goffo tentativo di rendere obbligatorio ciò che, invece, bisognerebbe insegnare agli utenti delle due ruote, stimolandone il buon senso e mettendoli al corrente dei rischi reali a cui possono andare in contro. La formulazione stessa dell'emendamento, poi, non sembra tener molto conto della realtà sulla quale andrebbe ad impattare. Al punto 5 del testo presentato, infatti, viene introdotta anche questa innovazione: "Chiunque importa o produce per la commercializzazione sul territorio nazionale e chi commercializza indumenti e caschi protettivi per motocicli,motocarrozzette o ciclomotori di tipo non omologato è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 779 a euro 3.119".
LE NORME CI SONO GIA'Il discorso è delicato, perché introduce la questione dell'omologazione per l'abbigliamento tecnico motociclistico: quasi una vera e propria "rimozione" psicologica per chi produce e commercializza questi capi in Italia, ma non solo. In realtà, delle norme comunitarie che indichino gli standard per l'omologazione dei capi tecnici da moto esistono, e si chiamano EN 1621 (protettori), EN 13594 (Guanti), EN 13595 (abbigliamento) e EN 13634 (Calzature), ma quasi nessuno le applica. Anche perché non sono recepite in Italia, che – come del resto molti altri Paesi europei – non impone la commercializzazione di capi realmente omologati. Solo per le protezioni è necessario il marchio CE di omologazione, ma è chiaro che una protezione omologata inserita in un capo che si "sbrindelli" al solo pensiero di sfiorar l'asfalto, ha ben poco senso…
DISCUSSIONE IN CORSO In ogni caso, questo fantasioso emendamento non è ancora stato discusso stando alla cronologia dei lavori del Senato. E gli stessi promotori sono stati oggetto di molte critiche da parte delle maggiori associazioni di categoria – ANCMA e FMI in primis - che, nel momento in cui la notizia ha cominciato a circolare, si sono svegliate dal loro torpore, rilasciando dichiarazioni che ribadivano la loro distanza dalle proposte fatte dal Senatore Filippi & Co. C'è da chiedersi, però, dove fossero quando è stato proposto.
ANCMA PREOCCUPATAL'Associazione dei Costruttori è preoccupata soprattutto per l'impatto che tali imposizioni avrebbero sull'industria della moto, in termini di contrazione della domanda, per i rischi occupazionali nel comparto e per il fatto che si imporrebbe ad ogni motociclista di metter mano al portafogli per una cifra media fra i 500 e i 1.000 euro. Inoltre, giustamente, viene sottolineato come l'obbligo di usare il casco integrale metterebbe fuori legge tutti i caschi diversi venduti fino al giorno prima dell'entrata in vigore della nuova legge: una situazione che, oltretutto, non avrebbe riscontro in alcun altro Paese dell' Unione Europea, e non solo.
FMI CRITICA La Federmoto è ancor più dura verso l'emendamento, ricordando quanto sia inutile inasprire delle norme se già non si è in grado di far rispettare quelle esistenti, come il divieto di indossare caschi non omologati (i famigerato DGM) o di indossarli slacciati, quando poi vengono indossati! Non di meno, la FMI ricorda anche quanto nel nostro Paese contino le condizioni climatiche in relazione all'uso di abbigliamento tecnico in moto, indicando nella sola educazione degli utenti, a partire dai più giovani, la strada per convincerli a un uso più consapevole delle due ruote.
L'IPOTESI LOBBY La discussione è aperta e i toni sono spesso inutilmente allarmistici, mentre è interessante come anche i produttori di abbigliamento stessi non sembrino particolarmente contenti al riguardo, nonostante l'ipotesi che l'emendamento nasca sulla base degli interessi di una "lobby" di riferimento non sia campata per aria. Ad esempio, Vittorio Cafaggi, Corporate Development Manager Dainese commenta così la questione:"Siamo molto perplessi, perché riteniamo che azioni di questo tipo possano avere un ritorno immediato, ma nel tempo ripercussioni negative. Sembrano norme piuttosto penalizzanti per chi va in moto, soprattutto per il popolo dei motociclisti urbani, che probabilmente finirebbero col diminuire, a discapito di una riduzione del traffico cittadino. In più non è stato chiesto il parere di nessuna associazione di categoria, né delle aziende del settore, Case motociclistiche o di abbigliamento, né della stampa che comunque ha il polso della situazione. Ma, cosa ancora più grave, non si è pianificata nessuna azione di educazione nelle scuole e di sensibilizzazione presso i giovani a livello nazionale. Invece è proprio questo punto che bisognerebbe sviluppare".
E' ORA DI IMPARARE Il rischio che una norma del genere possa essere un boomerang per il settore è, quindi, la paura di tutti. Quello che stupisce, tuttavia, è come tale iniziativa di governo sembri nascere dal nulla, senza un'indagine preliminare che la supporti. Stupisce anche perché l'ANCMA è il referente del settore in Confindustria, quindi in un organo istituzionale che ha contatti quotidiani con la politica. Alla stessa FMI lo Stato ha demandato tante questioni relative al mondo della moto, ma non ha ritenuto ovvio coinvolgerla in una questione tanto importante. La sensazione è che manchi, come spesso accade in Italia, coordinamento e concentrazione sulle vere problematiche del nostro settore. Il risultato è che si rischia di trovarsi leggi controproducenti e mal formulate. L'augurio è che ci sia tempo per rimediare e che questo ennesimo pasticcio all'italiana sia finalmente di insegnamento per il futuro.