Che sia uno degli Stati più industrializzati e avanzati al mondo te ne accorgi già in aeroporto, dove decine di robottini ti aiutano nella lettura dei dati del passaporto per velocizzare le pratiche per l’immigrazione. Eppure, nell’ipertecnologico Giappone dei super treni Shinkansen, che attraversano in lungo e in largo il territorio spaccando il secondo in termini di puntualità, l’auto elettrica fatica a imporsi. Il che è stato per certi versi una sorpresa. Almeno per me che, in vacanza agostana alla scoperta di un Paese che mi ha conquistato sotto tutti i punti di vista, mi aspettavo di vedere moltissimi BEV in giro per strada. La realtà dei fatti è invece ben diversa: secondo Bloomberg, nel 2023 la quota di mercato delle full electric in Giappone è stata soltanto dell’1,8%. Un dato inferiore persino al 4,2% (fonte Motus-E) di immatricolazioni in Italia.
Una Ferrari nella via dei negozi vip di Omotesando, Tokyo
NON SOLO NUMERI Certe cifre sono significative, specie perché qui hanno sede la Toyota (e cioè il costruttore di automobili leader di vendite nel mondo nel 2023) ma anche Honda, Nissan, Suzuki e Mazda, altri brand che troviamo stabilmente nelle posizioni più alte nelle classifiche di vendite globali. Ma non è solo questione di numeri: che l’amore dei giapponesi per le auto a batteria non sia (ancora?) sbocciato è palese anche solo guardandosi un po’ intorno. E d’accordo che analizzare il parco auto circolante non fosse esattamente la mia priorità, ma non può essere un caso che nei sei giorni passati nel caos organizzatissimo di Tokyo io abbia avvistato solo tre BEV: in tutti e tre i casi Tesla, ma soltanto una effettivamente marciante. La seconda era invece ordinatamente parcheggiata davanti alla casetta del (presumo) proprietario, mentre l’altra era usata come showcar per pubblicizzare un videogioco di guida arcade dall’estetica piuttosto tamarra e di prossima pubblicazione.
Una Keicar, l'imperatrice del Giappone, attraversa un incrocio a Ginza, Tokyo
FENOMENO KEICAR In compenso, per dire, ho avvistato anche una splendida Fiat Multipla prima serie e una manciata di nuove 500 (pure un paio in versione Abarth) con guida rigorosamente a destra. Come a dire che, nella mia parzialissima esperienza, in Giappone la (diciamo così) praticità e l’estetica del Belpaese se la possono anche giocare con le scariche di elettroni di Elon Musk. Comunque inezie in confronto al fenomeno tutto nipponico delle Keicar, le minimacchine da città con motore quasi sempre rigorosamente termico come le SuzukiAltoeHustler, che spopolano in tutto il Paese. Accomunate dalle dimensioni compattissime, dai bassi consumi, dai prezzi super economici e dal look talvolta quantomeno discutibile, in Giappone le Keicar sono ovunque e non soltanto nel centro delle grandi città. È una tendenza che ho trovato affascinante, visto il contrasto con la moda europeache premia SUV e crossover a scapito delle utilitarie, ridotte ormai quasi a una nicchia per nostalgici del parcheggio agile (per non dire della tradizione statunitense, dove però gli spazi non sono mai stati un problema).
Una Fiat Multipla per strada a Tokyo
PROBLEMA PARCHEGGIO A proposito, il nodo della sosta è tutt’altro che secondario. Le leggi locali limitano l’acquisto di una macchina nuova alla dimostrazione da parte dell’aspirante acquirente di essere nella disponibilità (proprietà o anche un contratto di locazione) di un garage o di un posto auto dove parcheggiare. E visto che gli spazi sono quelli che sono, e che in strada è quasi sempre vietato sostare – a Tokyo, solo nel 5% delle strade pubbliche è possibile lasciare l’auto ai margini della carreggiata – è facile capire il successo delle Keicar. Che però spiega solo in parte lo scarso entusiasmo nei confronti dell’elettrico. Per venire incontro ai gusti e alle esigenze dei giapponesi, Nissan ha ad esempio messo in commercio la Sakura, una Keicar elettrica che costa meno di 13.000 euro e ha un’autonomia di 180 km. È andata bene, ma non benissimo: la Sakura ha avuto un discreto successo aggredendo una grossa fetta delle vendite elettriche nel mercato interno, che comunque resta limitatissimo (quell’1,8% di cui si parlava all’inizio dell’articolo). Termiche e ibride giocano ancora in un altro campionato.
Un (raro) caso di parcheggio, per giunta libero, in strada a Tokyo nel quartiere Asakusa
DOVE SONO LE COLONNINE? Insomma, se il problema fosse solo legato ai pochi spazi di parcheggio, una Keicar come la Sakura avrebbe dovuto essere la soluzione definitiva per la crescita delle vendite delle elettriche in Giappone. Così non è stato, e la questione sembra essere più che altro strutturale: ci credete se vi dico che in 17 giorni tra Tokyo, Kyoto, Osaka, Hiroshima e Yokohama, non ho visto una sola colonnina di ricarica? Japan News stima che nel 2023 ci fossero in tutto 30.000 punti di ricarica pubblici nel Paese a fronte di una popolazione di circa 125 milioni di abitanti. In Italia, per intenderci, alla fine dello scorso anno avevamo 50.000 colonnine ma meno di 60 milioni di abitanti. Come detto prima, la mia visione è quella di chi è partito alla scoperta delle incredibili bellezze del luogo ed è per questo parziale: muovendomi a piedi o in metropolitana in aree turistiche, non sono andato specificamente alla ricerca di una colonnina e potrebbe essermi sfuggito qualcosa. Ma è altrettanto vero che da noi – che non siamo esattamente il punto di riferimento in termini di mobilità elettrica – non è così infrequente imbattersi in qualche punto di ricarica (magari vandalizzato, non funzionante o scolorito dal sole) anche in prossimità dei monumenti più importanti delle grandi città.
Una Tesla parcheggiata in un condominio di Tokyo
COME RICARICANO I GIAPPONESI Immagino dunque che i (pochi) possessori di un veicolo elettrico in Giappone ricarichino nel garage di casa. Difficilmente possono farlo nei parcheggi pubblici, perché anche lì di colonnine neppure l’ombra. Il che vale sia per i piccoli rettangoli con una decina di posti auto che si trovano in vicinanza dei maggiori punti di interesse, sia per i silos multipiano in cui è possibile imbattersi di tanto in tanto. In uno di questi, nel centro di Hiroshima, mi sono addentrato nell’esplorazione dell’intero piano terra, ma senza avvistamenti di nota. In compenso sono stato ripagato dalla vista di un'icona del drifting, una splendida Toyota AE86 in ottime condizioni. Non è da escludere che le cose possano cambiare in un futuro non troppo lontano, visto che i costruttori nipponici sembrano intenzionati a provare a colmare il gap dai rivali cinesi, coreani, americani ed europei, e che il Governo si è ufficialmente impegnato a migliorare l’infrastruttura entro il 2030 prevedendo di arrivare a quota 300.000 punti di ricarica. Intanto però, se in Corea del Sud si valuta l’opzione di limitare la ricarica nei parcheggi sotterranei per scongiurare gli incendi di cui ogni tanto si rendono protagoniste le auto elettriche, l’impressione è che in Giappone il problema lo abbiano risolto a monte...