Il Washington Post ha smontato (letteralmente) una Chevrolet Volt per scoprire quali dati del guidatore vengono memorizzati al suo interno. Ecco cos'ha scoperto
PRIVACY IN AUTO Il problema della privacy è uno dei temi caldi di questi ultimi anni, in particolare quando si parla di social network. Ricordiamo ancora tutti lo scandalo Cambridge Analytica, ma anche i titoli dei giornali ogni qualvolta qualche database viene violato e il suo contenuto messo in rete (dagli streaming di foto delle celebrities alle password di Dropbox, giusto per citare i primi che ci vengono in mente). Vi siete mai chiesti cosa sanno davvero di noi le macchine che guidiamo tutti i giorni?
AUTO FICCANASO? Un giornalista del Washington Post si è posto questa domanda, e per trovare una risposta ha messo (letteralmente) a soqquadro la sua Chevrolet Volt, scoprendo una realtà piuttosto inquietante: che le automobili moderne, dotate quasi sempre di una connessione continua a internet (gratuita o come optional a pagamento), si comportano né più né meno come gli smartphone, e registrano praticamente tutto quello che facciamo. Senza che noi possiamo in alcun modo decidere cosa succede di questi dati, potervi accedere, o magari negare il consenso a che vengano raccolti.
La plancia della Chevrolet Volt messa a soqquadro dall'hacker arruolato dal Washington Post
DATI BEN NASCOSTI (PER ORA) Per poter accedere alla mole di dati conservati nel computer della sua auto, il giornalista del Washington Post ha dovuto chiedere l’aiuto di un hacker, e solo così ha potuto entrare nella memoria della macchina. Al suo interno ha trovato informazioni sui luoghi in cui è andato il proprietario, il suo telefono, i contatti con tanto di foto ed email personali. Per meglio comprendere la portata del fenomeno, il giornalista ha perfino comprato su eBay un sistema di infotainment usato: al suo interno ha trovato una gran quantità di informazioni relative al suo precedente proprietario, dai posti in cui è stato ai contatti telefonici chiamati più di frequente.
DATI ANONIMI Molti dei dati raccolti non possono essere ricondotti a chi guida in quel momento, ha dichiarato un portavoce di GM contattato dal Washington Post prima di pubblicare il pezzo: nella gran parte dei casi si tratta di informazioni relative alle prestazioni della macchina e al comportamento del guidatore, non sono riconducibili a uno specifico utente, e quasi nessuno di essi esce dalla memoria della macchina, anche se registrano la sua posizione molto più spesso di quanto si immagini (perfino con il sistema di navigazione disattivato).
UN PROBLEMA SEMPRE PIÙ PRESSANTE L’accesso a questi dati, insomma, non è proprio alla portata di tutti: lo stesso hacker che ha collaborato con il giornalista del Post ha impiegato più di un’ora, smontando quasi completamente la plancia della macchina, prima di poter accedere ai dati. Ma c’è comunque riuscito. E in futuro, con la diffusione del 5G e delle vetture sempre più connesse alla rete, il problema della sicurezza dei dati presenti nelle macchine diventerà molto più pressante. Così come quello del consenso dell’utente a lasciar che le case costruttrici sappiano più o meno tutto quello che facciamo una volta a bordo della nostra macchina.