Secondo l'autorità dei trasporti della City, il servizio non garantirebbe alcuni standard di sicurezza. Ma Uber ricorre. Ecco perché
LA CACCIATA DALL'EDEN Una flotta di 40.000 auto nere che a ritmo funebre, con le lancette del Big Ben a scandire impietose la tragica ritirata, un passo dopo l'altro marciano verso la periferia di Londra, "cacciate" da Sua Maestà come fuorilegge qualsiasi, nemmeno fossero 40.000 Robin Hood. Un'immagine apocalittica, ma che potrebbe avverarsi. O anche no. La notizia che Uber possa perdere una delle sue roccaforti mondiali, sicuramente il feudo più strategico tra quelli conquistati nella vecchia Europa, ha subito popolato i notiziari e i forum di ogni ordine e grado. Presto, la vicenda sarà tuttavia argomento di discussione anche nelle aule dei tribunali della City stessa, dal momento che la società californiana, di mollare una piazza tanto redditizia (sia in senso economico che sul piano dell'immagine) come la metropoli Alpha per eccellenza, proprio non ne vuole sapere. E adduce le sue ragioni.
LA MACCHINA DEL FANGO A mettere a fuoco la controversia è l'autorevole Financial Times. Secondo il quotidiano britannico l'autorità dei trasporti locali, Transport for London (TfL), dopo aver deliberato di ritirare a Uber la licenza di compagnia di trasporto privato per ragioni di sicurezza stradale e di ordine pubblico (il permesso scadrebbe già a fine mese, quindi tra qualche giorno), sarebbe stata additata dalla stessa società di taxi alternativi come responsabile di almeno due (dei quattro capi d'imputazione totali) delle mancanze delle quali proprio Uber è accusata. Alimentando in questo modo l'ipotesi di una decisione "politically driven", più che "public safety motivated".
LO SCAMBIO DI ACCUSE L'autority dei trasporti della capitale del Regno Unito avrebbe infatti fondato la sua sentenza in parte anche sull'assenza di trasparenza circa la validità dei certificati medici rilasciati agli autisti Uber e delle perizie di accertamento di eventuali precedenti penali. Non fosse, tuttavia, che sia l'approvazione ultima della licenza di idoneità psicofisica ai singoli driver, sia la verifica di precedenti sulla fedina penale dei candidati al parco autisti Uber, spetta per legge proprio a Transport for London. Che a sua volta ribatte, accusando l'app di avere invece incoraggiato i propri membri ad aggirare il protocollo ufficiale e a servirsi in alternativa di un servizio online di check up medici. Che infine, questa prassi si sarebbe reiterata anche in seguito a un esplicito richiamo. La palla passa orai ai giudici. Una cosa è certa: dove c'è Uber, c'è bagarre.