Batterie: queste sconosciute. La tecnologia degli accumulatori per auto elettriche è vecchia di oltre un secolo e negli ultimi anni è al centro di un'autentica rivoluzione culturale, oltre che tecnica. Eppure ne sappiamo ancora poco. La mobilità elettrica è agli albori e la ricerca sulle applicazioni per autotrazione è iniziata da poco. Ma corre velocissima. Anche a caccia di scoperte non sempre banali, che renderanno le auto più rapide da ricaricare e ancora più efficienti. Per esempio, in una recente chiacchierata esclusiva con un tecnico della Commission Europea è emerso che la ricarica rapida degli accumulatori è meno nociva di quanto si pensasse solo fino a poco tempo fa. Se ciò è ancora vero e documentabile per quanto riguarda la sperimentazione sulla singola cella, le cose cambiano se prendiamo in considerazione un intero pacco batterie con tutta l'elettronica e i dispositivi preposti a gestirlo e proteggerlo.
COSA È CAMBIATO? Cruciale sarebbe stata l'introduzione dei sistemi di climatizzazione dell'accumulatore, che garantiscono durante la ricarica il mantenimento della temperatura entro i valori ottimali per proteggere la parte chimica e prevengono il fenomeno del cosiddetto Lithium Plating, ossia la deposizione di una patina di Litio sul polo negativo dell'accumulatore, che ne compromette durata e sicurezza. Grandi passi in avanti sono stati fatti grazie all'evoluzione dei software e dei sistemi del cosiddetto Battery Management System (BMS), che regola la potenza di ricarica in base allo stato della batteria e gestisce la sinergia tra le varie celle per bilanciare tensioni e resistenze, preservandone l'efficienza nel tempo. È grazie a questi accorgimenti che gli attuali accumulatori sono garantiti per 8 anni o 160.000 km (come previsto dalla legge americana, peraltro). E vedremo di quanto si alzerà l'asticella nei prossimi anni.
Un'auto elettrica collegata alla colonnina di ricarica
NON SOLO PER FARE PRIMA In cifre, l'effetto della ricarica rapida ''fast charge'' sull'efficienza a lungo termine sembra limitato a pochi punti percentuale: tutto sommato sacrificabili sull'altare del tempo risparmiato alla colonnina. Ma sacrificabili anche - o forse soprattutto - ai fini dell'efficienza. Infatti, il processo di ricarica ad alta potenza è in genere molto più efficiente di quello a bassa potenza. A domanda diretta, il Direttore Tecnico di Green NCAP, Aleksandar Damyanov, mi ha confermato che nei loro test hanno registrato in media una perdita del 12%, tra le auto moderne, nella ricarica da colonnine a 11 kW. E in una mia personale esperienza ho scoperto che la differenza tra l'energia erogata dalla presa e quella effettivamente entrata nell'accumulatore può arrivare al 25%. Aumentare la potenza potrebbe aiutare a recuperare parecchia elettricità sprecata.
QUALI DURANO DI PIÙ Quella che non è propriamente una scoperta recente, ma del tutto logica, se ci pensate, è che batterie di maggiore capacità e autonomia hanno anche una maggiore durata nel tempo. Il motivo è presto detto. La durata degli accumulatori si misura in cicli di carica e scarica: una batteria di capacità e autonomia ridotte qual è, per esempio, quella di molte auto plug-in hybrid, dovrà essere ricaricata molto più spesso di quella di una Tesla, tanto per fare un esempio. Anche due volte al giorno, per chi fa il pendolare e magari ricarica gratis in ufficio. Per questo, se la media delle batterie per auto elettriche può generalmente garantire circa 1.500 cicli, un'auto con 50 km di autonomia vedrà l'accumulatore degradarsi molto più alla svelta rispetto a una con 400 km. E la strada percorsa, prima di dover sostituire l'accumulatore, per la prima sarà vicina a 75.000 km, mentre la seconda potrebbe probabilmente arrivare a 600.000 km. Fermo restando che una batteria perde efficienza anche quando non la usi, per il semplice invecchiamento. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.