Durante un question time alla Camera dei giorni scorsi, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha annunciato un nuovo pacchetto di modifiche al Codice della Strada relativo alla cosiddetta mobilità dolce, quella di monopattini e biciclette, per i quali sarebbe in arrivo l’obbligo di casco, targa, assicurazione e frecce.
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UN’IDEA ORIGINALE Da un lato, la proposta ha il pregio dell’originalità: non esiste paese, sull’intero globo terraqueo, che abbia reso obbligatori targa e assicurazione per le biciclette, né si sognerebbe mai di farlo. Dall’altro lato, l’approccio mi pare un po’ superficiale: di fronte a un problema, la soluzione è creare regole dentro cui ingabbiarlo. Poco importa se viene risolto, l’importante è poter dire di essere intervenuti. E se poi il problema persiste, ovviamente è colpa di chi non rispetta le regole.
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MITI DA SFATARE C’è questo grande mito dei ciclisti dei paesi del Nord Europa, ligi al dovere, rispettosi del codice della strada, che non escono di un cm dalle loro ciclabili, e viaggiano sempre attrezzati di tutto punto, mentre da noi in Italia è il caos assoluto, è tutto un sali e scendi dai marciapiedi, vanno tutti contromano e via discorrendo. Un mito, appunto, che si sfata semplicemente facendosi un rapido giro in uno dei suddetti paesi: dove i ciclisti non invadono i marciapiedi, vero, ma solo perché hanno piste ciclabili più larghe della carreggiata riservata alle auto, mentre da noi si viaggia separati da una striscia di vernice (quando va bene), e se qualcuno propone interventi più radicali - vedi Comune di Milano in Corso Buenos Aires - partono subito i fischi degli automobilisti. Giusto per essere più chiari: in Olanda & c. la gente non va in bicicletta per qualche misteriosa mutazione genetica che la rende più propensa a pedalare in estate e in inverno, in zone dove mediamente il clima fa schifo, ma perché - come raccontava bene Stefano Forbici, patron di BikeUp, nell’intervista che ha rilasciato a Motorbox qualche settimana fa - l’uso delle auto è talmente disincentivato e antieconomico che la bicicletta rappresenta una delle poche alternative praticabili. E la gente, guarda caso, la pratica.
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IL PROBLEMA AMMINISTRATIVO Lasciamo stare - ma non trascuriamo - il delirio amministrativo e burocratico di dover targare milioni e milioni di biciclette, nonché tutte le problematiche tecniche che ne derivano: la targa dove la fissi? come? è abbinata al proprietario? ci sarà una carta di circolazione anche per bici e monopattini? Lasciamolo stare, dicevo, facendo finta che sia un problema che si risolve, e pensiamo ai costi per le famiglie: noi siamo in quattro, e abbiamo quattro biciclette. Secondo Salvini dovremmo targare, immatricolare e assicurare quattro nuovi veicoli: quanto ci costerebbe questo scherzetto? La bicicletta è bella anche perché è democratica, andarci in giro è gratis. Ed è giusto che sia così: non inquina, non occupa spazio, non rovina il manto stradale, e vogliamo esagerare, fa pure bene alla salute, che sono soldi risparmiati per il sistema sanitario. Pensare di scaricare sulle famiglie decine di euro all’anno per ogni singola bicicletta posseduta non mi sembra tra le dieci idee più furbe, pensando anche alle famiglie meno abbienti, che spesso utilizzano la bicicletta come unico mezzo di trasporto.
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SICUREZZA Vado in ufficio in bicicletta, 12 km all’andata e 12 al ritorno, affrontando il caotico traffico di Milano nelle ore di punta, figuratevi voi se non mi sta a cuore la sicurezza: non faccio una pedalata senza il mio fido casco con luci e frecce incorporate e sistema di protezione Mips per gli impatti, e cerco di muovermi laddove riesco sulle piste ciclabili, stando il più possibile lontano da auto e moto, consapevole che tra loro e il sottoscritto, quello che rischia di più sono io. Sono totalmente a favore del casco, che rimane il primo elemento di sicurezza quando ci si muove, e ha ragione Salvini a volerlo introdurre. Vero pure che, come dice l’antico adagio, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno. Prima che frecce, targa o assicurazione, mi preoccupa di più la noncuranza con cui la gente ignora l’importanza del casco e delle luci quando va in bici: rider, ma anche persone comuni, pedalano di sera praticamente invisibili al resto del mondo, senza la protezione base, sperando in chissà quale provvidenza che li metta al riparo dal traffico e dalle auto. Più che obbligare la gente a dotarsi di luci, che poi tanto chi controlla?, sarebbe più utile provare a costruire campagne di sensibilizzazione sul tema, nelle scuole, tra le aziende di delivery, presso i produttori... Capisco però che, come dicevo poco sopra, aggiungere regole e divieti sia una soluzione più rapida.
I CONTROLLI C’è poi la questione annosa dei controlli: chi si mette a verificare che tutte le biciclette in circolazione abbiano la targa, siano assicurate, le frecce e le luci funzionino correttamente e il casco del conducente sia omologato? La risposta facile è: nessuno. Del resto, e questo sembra sfuggire al Ministro, già adesso i comportamenti scorretti sono - giustamente! - sanzionabili: se un ciclista passa col rosso o gira di sera senza luci è passibile di multa, ma chi controlla e applica? Ammesso e non concesso che il pacchetto vada in porto, mi aspetto - come da sana tradizione italiana - un primo periodo di blandi controlli nelle città mediaticamente più efficaci (spoiler: Milano, Bologna, Napoli), due o tre multe appioppate a favore di telecamere così da far vedere che il sistema funziona, e poi un rapido ritorno alla normalità.
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LA QUESTIONE ECONOMICA E poi c’è l’autogol più clamoroso, anche per questo Governo: una proposta simile di questo genere non avrebbe altro risultato che tagliare le gambe al mercato, stroncando un settore nel quale possiamo davvero vantare le tanto acclamate eccellenze che il mondo ci invidia, in cui siamo leader da decenni e che genera un volume d’affari di oltre tre miliardi di euro. Perfino ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori) è arrivata a esprimere “forte preoccupazione”, e l’ha fatto a pochissime ore di distanza dalle dichiarazioni del Ministro, con una tempestività che è indice di preoccupazione tanto quanto le parole riportate nel comunicato stampa: “si tratta di misure che non vanno nella direzione di ottenere maggiore sicurezza, per la quale serve un impegno strutturale ed educativo a tutela di chi utilizza la bicicletta, che è un utente debole della strada”.
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E QUINDI? Laddove il pianeta è al collasso, l’emergenza climatica è talmente grave da non fare più notizia (vedi gli scenari post-apocalittici di New York in queste ore), le città non hanno più spazio per ospitare auto sempre più grandi, l’intera industria dell’automobile sta cercando di convertirsi verso soluzioni meno inquinanti, le biciclette (elettriche, muscolari, quello che vi pare) potrebbero rappresentare una delle soluzioni più semplici: occupano uno spazio infinitamente minore, non inquinano, non fanno rumore, costano poco e sono democraticamente alla portata di tutti. Da noi, invece, la proposta più lungimirante del Ministro dei Trasporti è rendere ancora più complicato e costoso muoversi in bicicletta, e abolire il superbollo per i bombardoni.