E' un concentrato di tecnologia moderna, ma la Nissan LEAF ha una storia lunga. Che inizia dalla Tama e passa per tante altre sorelle sperimentali. Ecco come Nissan è arrivata a produrre l'auto dell'anno.
C’ERA UNA VOLTA Prima che sbocciasse la “foglia”(LEAF, in inglese), in Nissan hanno dovuto seminare a lungo. Dal 1947, per la precisione, ovvero la preistoria della Casa giapponese, non ancora chiamata Nissan. Che già da allora si cimentava con l’elettrico realizzando la prima auto EV della storia del marchio: la Tama. Oggi, sessanta e rotti anni dopo la Tama, tocca alla Nissan LEAF, prima elettrica destinata alla produzione su larga scala. In Europa è già stata consegnata ad alcuni clienti inglesi, in Italia arriverà solo a fine 2011.
PIOMBO-ACIDO Batterie agli ioni di litio di tipo laminato, un’autonomia fino a 175 km e 145 km/h di velocità massima (autolimitata): a questo si è arrivati col tempo. Ma una volta era tutta un’altra cosa. Basti pensare che la Tama montava batterie piombo-acido, sviluppava un massimo di 4,5 cavalli di potenza per raggiungere i 35 all’ora, e non superava i 45 chilometri di autonomia con una sola carica. A progettarla furono degli ex ingegneri dell’aeronautica militare per conto della TokyoElectric Car Cars Company, poi diventata Prince Motor Co. Ltd., a sua volta, in seguito, fusasi con Nissan.
DI NECESSITA’ VIRTU’ Altri tempi e un altro mondo, quello all’alba degli anni Cinquanta. Soprattutto per il Giappone, uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale e afflitto da carenze energetiche. Le prime auto elettriche, tra cui appunto la Tama, che rimase in vendita fino al 1950, vennero infatti costruite anche per questo: per far fronte alla crisi, il governo incoraggiava le imprese a produrre veicoli elettrici. Poi, dopo il ’50, cominciò la ripresa economica del Giappone e con essa si stabilizzarono anche le forniture di petrolio.
SALTO IN LUNGO Succede così che di elettrico – almeno su sponda Nissan – si torna a parlare solamente negli anni Novanta, saltando a piè pari quasi mezzo secolo. Il grande cambiamento sono le batterie agli ioni di litio (realizzate dalla Sony), delle quali Nissan si fa pioniera installandole sulla sua seconda auto elettrica, la “Prairie EV” (1996). Di Prairie EV ne furono vendute solo una trentina, in flotte, destinate ad organismi di vario tipo. Curiosità, una di queste divenne addirittura il tender di un team di esploratori giapponesi impegnati in osservazioni meteorologiche al Polo Nord, dimostrando così l’alta resistenza delle batterie agli ioni di litio.
ALTRA STORIA Un anno dopo (1997) fu la volta dell’Altra. Un po’ wagon, un po’ van, quasi suv, si chiamava proprio così: Altra EV. Anche questa fu prodotta in serie limitata, 200 pezzi destinati ad aziende di servizi sparse tra Giappone e USA. Dotata di motore sincrono da 83 cavalli, stivava il pacchetto-batterie sotto il pianale nel lato del sedile passeggero e garantiva un’autonomia – reale, secondo Nissan – di 130 km, mentre la velocità massima era di 120 km/h.
ELECTRI-CITY Il passo successivo, a breve distanza dalla Prairie e dalla Altra, fu quello di adattare il sistema di trazione elettrico a un’auto dalle forme più compatte, tipo city-car, forse la tipologia di auto adatta a sposarsi a bene con l’elettrico, considerato anche l’uso che se ne fa. Nissan lanciò così la Hypermini: una specie di cubetto stile Smart che montava un motore a trazione sincrona con magnete al neodimio e batterie agli ioni di litio ad alte prestazioni. Una ricarica di 4 ore (a 200 Volt) le permetteva di girare per 115 km senza bisogno di ulteriori pit-stop, sfrecciando non oltre i 100 km/h. Anche la Hypermini, però, fu elargita a pochi intimi e non andò oltre una mini produzione di serie: sebbene fossimo all’alba del nuovo millennio (1999), una Nissan elettrica non era ancora pronta per essere commercializzata.
CI SIAMO La svolta è arrivata col nuovo millennio e le batterie agli ioni di litio di tipo laminato (quelle utilizzate appunto dalla LEAF) più compatte e durevoli di quelle a celle cilindriche usate fin lì. Un impulso decisivo in questo senso lo ha dato la loro applicazione nel campo dei telefoni cellulari, man mano sempre più piccole. Non a caso Nissan scelse come partner la NEC, e grazie a quest’alleanza arrivò a produrre batterie che, nelle stesse dimensioni di prima, immagazzinavano il doppio dell’energia. Bingo!
SBIZZARRIAMOCI Da qui Nissan scopre le potenzialità delle nuove batterie e le mette in mostra su una serie di prototipi che hanno anticipato la LEAF. Nel 2005 esce la Pivo 1: look bizzarro da navicella spaziale, quattro ruote che girano su se stesse, come pure l’abitacolo: tutto serviva a dimostrare che l’elettrico, volendo, concede tutta una serie di libertà progettuali che la auto con motore a scoppio non hanno. E così dopo la Pivo 1 è seguito il bis, la Pivo 2, presentata al salone di Tokyo nel 2007. Nello stesso anno Nissan presenta la Mixim, primo prototipo di una sportiva elettrica firmato dalla Casa.
LA SFIDA A queste sono seguite più recentemente la NUVU (2008), con pannelli solari sul tetto e un abitacolo fatto di materiali riciclati, la Cube EV (2008), variante elettrica dell’omonima multispazio a scoppio, la Tiida (2009) e quindi la LEAF (vedi correlate). Non più un veicolo dimostrativo, né una vettura da mini-produzione, ma un vero e proprio investimento per giocare d’anticipo sul mercato e vendere l’auto elettrica su scala globale. In ballo c’è una grossa scommessa da parte di Nissan e Renault: sono impiegati 5 impianti solo per produrre le batterie (in Inghilterra, Negli USA, in Francia, in Portogallo e due in Giappone), 3 invece per costruire le LEAF (a Sunderland, Smyrna e Oppama). Nissan ci crede, insomma, e il suo sforzo è già stato in parte premiato dal titolo di “Car of the Year 2010” attribuito – non senza polemiche – alla sua EV. Che ora però è attesa dalla prova più difficile: quella del mercato.