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GM Hy-Wire


Avatar Redazionale, il 28/09/02

22 anni fa -

Fuori sembra solo una concept molto luminosa. Dentro, per ampiezza e modalità di guida, non c'è confronto con le classiche multispazio. Sotto, nasconde una tecnologia da far (quasi) impallidire lo Shuttle. Non è una delle solite novità, ma un prototipo che potrebbe dire molto su come sarà l'auto di domani, all'insegna di pulizia e flessibilità.

Aveva stupito allo scorso Salone di Detroit, quella specie di grosso skateboard cromato. Aveva stupito per l’aspetto da tavola da surf con le ruote, per la compattezza dell’insieme e soprattutto perché dopo anni una Casa, e una di quelle importanti, non presentava un modello, ma “semplicemente”... una base meccanica.

In realtà si trattava di uno degli esempi più innovativi che l’ingegneria automobilistica abbia prodotto negli ultimi tempi: un’unica piattaforma per integrare propulsione, sospensioni e struttura portante. Oltre agli alloggiamenti per le fuel cell, i “serbatoi” di energia per i motori elettrici che devono spostare una massa di 1900 kg. Il tutto, impacchettato in un solo complesso funzionale.

Ma quel che era chiaro sin dall’inizio è che prima o poi un vestito adeguato alla tecnica sarebbe arrivato. Stavolta però alla GM hanno fatto le cose perbene, chiamando come “sarto” Bertone (eh, si sa, in certe cose “italians do it better”). Risultato: una vettura dall’aspetto esterno altrettanto futuribile che non nasconde la sua ambizione di diventare il “paradigma” di una prossima generazione di automobili.

Nasce così il prototipo Hy-Wire, carrozzeria spigolosa, ruotone da 20 e 22 pollici di diametro (rispettivamente davanti e dietro), linea di cintura filante, lunotto inclinato all’indietro, interni hi-tech dai sedili squadrati e dal mobiletto centrale ad arco, che dai posti anteriori si prolunga fino alla consolle in plancia.

E fin qui, tutto bene. Ma l’assenza della tradizionale unità endotermica sotto il cofano (cioè quel marchingegno a pistoni che fa rumore, brucia benzina e spinge le macchine dei comuni mortali) ha consentito di ampliare il volume abitabile ben oltre le possibilità di una ordinaria monovolume con la stessa sagoma.

La dimostrazione, casomai ce ne fosse bisogno, è data dal pannello vetrato che “chiude” il frontale là dove dovrebbe trovarsi una normale mascherina, prolungando idealmente il parabrezza e congiungendo i gruppi ottici, ovviamente all’avanguardia.

In questo modo si può vedere dentro e fuori dall’abitacolo: un bell’aiuto anche per percepire gli ingombri coi tempi che corrono e riparazioni sempre più costose. Di qui a parlare di sicurezza - anche psicologica - ce ne passa, per cui difficilmente un simile dettaglio potrebbe approdare alla produzione di serie. E poi, salirebbe una ragazza in minigonna su un’auto del genere?

Tirando le somme, la vecchia idea di “alzare” la vettura sul pianale (che sulla Hy-Wire ha un ingombro verticale di 28 cm) per guadagnare spazio in lunghezza e larghezza, ha sempre il suo effetto. Fra l’altro, dentro, il pianale è piatto - come da tradizione - per cui anche in praticità si può stare tranquilli.

Se poi a qualcuno degli eventuali futuri clienti il corpo vettura originale dovesse andar stretto, anche solo per un ritorno del design tondeggiante stile Micra, basta cambiarlo: tanto la meccanica potrebbe essere garantita per vent’anni, se l’auto fosse venduta, e tutto quello che c’è sopra potrebbe tranquillamente assecondare i mutevoli desideri del suo possessore.

Una strategia commerciale a dir poco rivoluzionaria, che va di pari passo con i vantaggi produttivi garantiti dalla mera funzione di “involucro” della capsula esterna. Insomma, massima flessibilità anche agli occhi della Casa, che potrebbe metter su a basso costo un’intera famiglia di varianti.

L'idea in sé non è nuova, già la Mercedes qualche anno fa presentò a Ginevra un prototipo che poteva trasformarsi in berlina, coupé e cabrio, sostituendo semplicemente la carrozzeria presso una rete di concessionari autorizzati. E' la prima volta però che questa proposta viene applicata a un prototipo con tecnologia fuel-cell.

Non per niente qualcuno ha parlato di una sorta di rivisitazione della filosofia americana del telaio portante, quella che fino ai primi anni ’80 permetteva ai costruttori di proporre una girandola di “sorelle” diverse esteticamente, ma con lo stesso identico scheletro.

Di certo questo è l’unico richiamo al passato che si può leggere nel progetto. Per il resto ecologia e modularità sono praticamente “allo stato dell’arte”, come direbbero oltreoceano, e anche in merito a guida e studio ergonomico le idee seguite dai progettisti sono fra le più avanzate.

Dopo essersi accomodato in un ambiente da Star-Trek, il futuro conducente potrà anzitutto decidere (legge permettendo) se preferisce sedere a destra o a sinistra, visto che l’elemento direzionale - leggi volante - si sposta indifferentemente su un asse trasversale essendo completamente privo di collegamenti meccanici.

Si svolta, si sterza, si parcheggia semplicemente grazie a un impulso elettrico, manovrando la cloche che ci si ritrova per mani e che va sotto il nome di X-Drive. Anche freno e acceleratore, naturalmente by-wire, sono integrati in questo comando. Inutile soffermarsi poi sulla presenza di schermi e visori vari sparsi sul cruscotto.

Nessun neo quindi? Forse no, tranne i tempi e i costi di commercializzazione. Che sono da fuel cell.


Pubblicato da Silvio jr. Suppa, 28/09/2002
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