BMW omaggia se stessa con la reinterpretazione della M1. Una concept car presentata al concorso di eleganza a Villa d'Este che celebra la storia del reparto Motorsport e la contaminazione con il saper fare italico. Solo un sogno o anche il preludio al ritorno di una sportiva bavarese a motore centrale?
AUTOCELEBRAZIONE Direttamente dalla cornice del concorso di eleganza di Villa d'Este appena concluso, ecco la M1 Hommage Concept. Ovvero come sarebbe la supersportiva di Monaco se venisse disegnata e prodotta (magari in piccola serie) oggi. Per ora solo un esempio di capacità stilistica e sartoriale, un'icona da concorso. Ma anche un ritorno da celebrare e un segnale da interpretare.
OTTIMA SCUSA La scusa per la rimpatriata stilistica? Un trentennale da festeggiare: la prima M1 nasceva giusto nel 1978 al Salone di Parigi. La M1 hommage è una reinterpretazione in taglio moderno della mamma. Sono evidenti gli echi, i riferimenti e le citazioni dirette dei tratti funzionali "made in Giugiaro" dell'originale. Basta guardare gli spigoli vivi, le proporzioni, il taglio secco della coda e il vetro posteriore coperto dall'alettatura a mo' di deflettore. Un file rouge lega inestricabilmente originale e omaggio alla memoria. Non una semplice replica, in realtà la nuova M1 è "cosa altra".
AL PASSO CON I TEMPI Partendo dal doppio rene di Casa e dal muso inclinato in avanti, proprio come quello delle BMW di trent'anni fa, non mancano suggestioni contemporanee e anticipatrici di nuovi percorsi stilistici. I fari appena nascosti sotto le palpebre prendono il posto dei fendinebbia e dei fanali a scomparsa della progenitrice. Oggi come allora sono quasi invisibili fino a quando non sono illuminati. La bocca anteriore si fonde con la ricerca aerodinamica dei convogliatori d'aria. Nel 1978 la tecnica offriva solo uno spoilerino nero in materiale plastico.
A ME LO SGUARDO Il powerdome in mezzo al cofano - puro effetto scenico - invece guadagna ancora più presenza scenica rispetto al passato. La M1 hommage esaspera le linee mirate ad allargarne le carreggiate e la presenza scenica, tutto con pochi tratti. Senza esagerazioni o inutili pesantezze. La fiancata ad esempio corre via senza ostacoli,priva di orpelli, con piccoli specchi e senza maniglie. Solcata solo dalla presa d'aria posteriore e disegnata dalla vetrata appuntita che si affusola verso il treno posteriore fino a lasciare uno spazio vuoto di raccordo tra il padiglione e i parafanghi. Creando un gioco di chiaro e scuro, di superfici piene e superfici vuote.
DOPPIO MARCHIO Il diffusore aerodinamico posteriore, obbligatorio su una sportiva moderna, diventa anche un motivo stilistico e decorativo della coda. Che vive anche di due gruppi ottici taglienti e incastonati nelle lamiere e del doppio marchio BMW. Uno per lato e la M1, oggi come allora, è l'unica a poterselo permettere senza rischiare di sembrare pacchiana. La M1 originaria si distingueva anche per il doppio serbatoio con due bocchettoni, uno per lato.
CAMPAGNOLA I nostalgici e gli innamorati della prima release non potranno non apprezzare i cerchi in lega, che riescono a dire qualcosa di nuovo senza ricorrere a formati banalmente stellari: tutto parte attorno al mozzo con i 5 bulloni, lo scudetto di Casa e il poligono disegnato intorno, mentre le feritoie e la lega leggera lucidata hanno il pregio aggiuntivo di riportare alla memoria gli esclusivi "Campagnolo" dell'epoca. Un misto di passato e futuro per la nuova icona sportiva BMW.
GRANDI COLLABORAZIONI Il valore della M1 originaria ha infatti superato l'importanza dello specifico modello, contaminando il resto della gamma e lo stesso imprinting del marchio. Che negli Anni 70 vinceva sulle piste con coupé derivate dalla serie e voleva una supercar. Per realizzarla, secondo le stesse ammissioni degli uomini di Monaco, fu necessario arrivare fino a Modena. La collaborazione con Lamborghini per il propulsore e soprattutto con le maestranze locali fornirono il know-how per arrivare a costruire una vera sportiva a motore centrale. Una supercar tedesca strettamente collegata all'italico "saper fare". Allo studio del telaio partecipò l'Ingegner Dallara, mentre per la produzione ci si rivolse ai Fratelli Marchesidi Modena.Carrozzeria Bauhr e Italdesign procedevano all'assemblaggiofinale attraverso un melting pot che legava l'Emilia, il Piemonte e la Baviera.
SERIE LIMITATA In neppure tre anni di produzione videro la luce solo 457 vetture. La M1 era equipaggiata con un sei cilindri in linea di 3,4 litri con cambio a 5 marce e 277 cavalli. I pochi esemplari costruiti e le corse fecero della M1 una Istant Classic. All'epoca BMW collaborò anche con il Circus della F1 per creare la serie Procar, dove muoveva i primi passi un giovanissimo Max Mosley, ancora lontano dalle glorie contemporanee. Serie che vedeva la partecipazione dei campioni dell'epoca in veste di guest star, tra cui Lauda e un Nelson Piquet non ancora Campione del Mondo. I primi posti nella griglia della gara dedicata alla supercar venivano assegnati ai piloti più veloci nelle prove del sabato, che finivano per gareggiare fianco a fianco con gentleman driver dell'epoca. Altri tempi, oggi sarebbe quasi impensabile se non altro per i diritti di immagine che legano testa, mani e piedi di ogni singolo pilota.
SAGA DI M Dopo la M1 iniziò anche la saga delle berline di Monaco con la M preceduta dalle barrette colorate, a identificarne le stimmate sportive. La prima fu proprio la M5 che riprese il motore della M1. Che peraltro derivava dalla 635 dell'epoca. Sappiamo tutti poi come è proseguita la storia. Continuando nel percorso alla ricerca delle origini merita di essere citata la Turbo Concept di primi Anni 70. Non a caso presente a Villa d'Este insieme ai due modelli più recenti. Era il 1971 quando vide la luce la vera antesignana della M1. Un progetto elaborato da Bmw e stilizzato dallo stilista francese Paul Brach.
INGANNO INTERNO Una supercar a motore centrale con telaio tubolare che - la leggenda narra - venne travestita da concept orientata allo studio di soluzioni future per la sicurezza (stratagemma di Bob Lutz allora a capo del marketing Bmw) in modo superare lo scetticismo del management poco propenso a finanziare il progetto. Invece la concept, insieme alla M1 che ne costituì lo sviluppo produttivo, ha contribuito non poco ad elevare lo spirito sportivo del marchio, influenzandone la percezione come costruttore capace anche di costruire esotici sogni a motore. Lo stesso cockpit del Turbo Concept, con il cockpit raccolto intorno al pilota, guidò la successiva produzione degli interni BMW. Soluzione abbandonata solo in epoca recente.
PER ORA UN SOGNO Non deve sorprendere quindi la dichiarazione di Christopher Bangle, capo dello stile BMW, che parla di riferimenti storici inestricabili tra i modelli, compreso il colore. Il vistoso arancio che lega i tre prototipi e origina proprio dalla Turbo Concept che "per sicurezza" doveva essere ben visibile. La M1 hommage è solo un bel sogno per ora. Mancano foto e immagini dell'abitacolo nascosto sotto i vetri scuri, probabilmente non è neppure stato realizzato, come cenni sulla meccanica.Per diventare icona viaggiante basterebbe metterci dentro un 10 cilindri, magari trapiantato proprio dall'attuale M5 e farne una tiratura limitata. Operazione simile a quella fatta da Alfa Romeo con la 8C. Le supercar in fondo aiutano a lucidare l'orgoglio di appartenenza e, in ultima analisi, ad incrementare le vendite dei modelli normali.
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