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Avatar Redazionale, il 19/01/07

17 anni fa - Con una giapponese nel Marcheshire

Con una giapponese nel nuovo angolo d'Italia bramato dai tedeschi e dagli inglesi: il Marcheshire, le Marche. L'ideale per mettere alla prova la versatilità della Grand Vitara su percorsi di ogni genere, dall'autostrada allo sterrato, passando per borghi medioevali e vicoli stretti come carrugi. Ecco il nostro diario di viaggio.

SILENZI LEOPARDIANILa contea del Marcheshire che abbiamo scelto per questo lungo week end invernale è quella fra i Castelli di Jesi e Arcevia, una delle più suggestive della regione, un susseguirsi di colline di armonia leopardiana presidiate da piccoli borghi medievali perfettamente conservati, e interminati spazi, sovrumani silenzi e cibo eccellente: le ragioni che spingono fin qui, per l'appunto, i tedeschi e gli inglesi, i quali, avendo conquistato ormai buona parte del Chianti (pardon, del Chiantishire), si sono messi all'affannosa ricerca di un'altra zona che gli somigli, ricca di storia, specialità culinarie, vini doc, casali di campagna da comprare a poco prezzo, ristrutturare e tramutare in cottage.


Il nostro itinerarioINVASORI
COLTI Per fortuna l'invasione è appena cominciata, sicché dovremmo avere ancora qualche anno per poter godere del Marcheshire al pieno della sua genuinità. L'itinerario parte da Ancona e punta nell'entroterra in direzione ovest, verso Jesi, seguendo la valle del fiume Esino, che nel Medioevo segnava la linea di confine fra il Granducato di Spoleto e lo Stato Pontificio (di qui il nome "Marche", cioè confine). Come tutte le frontiere, le colline ai lati del fiume erano zona strategica e andavano presidiate: sorsero così decine di castelletti, borghi e abbazie fortificati,minuscoli capolavori di architettura militare, a guardia dei cocuzzoli che si affacciavano sull'Esino.

COMPATTA E' qui che vogliamo inoltrarci sfruttando le doti di arrampicata e di compattezza della Grand Vitara, che poi proprio minuta non è visto che si parla pur sempre di quasi 4,5 metri di lunghezza e di 1,81 di larghezza. Per non dire del bagagliaio, che nel nostro caso (la cinque porte) è di 400 litri in condizioni normali e di 1.386 abbattendo tutti i sedili posteriori. Del resto se si vuole spazio e comfort i miracoli sono questi.

STUPOR MUNDI La stessa Jesi fu un comune potentissimo fra il '300 e il '400: la sua storia è raccontata dalla poderosa cinta di mura che cingono il centro storico medievale. Entro quelle mura nacque, nel 1194, Federico II di Hohenstaufen, lo stupor mundifiglio del Barbarossa e futuro imperatore. La madre, Costanza d'Altavilla, fu colta dalle doglie premature mentre viaggiava verso Palermo per raggiungere il marito, e fu costretta a partorire - lei, una regina - sulla pubblica piazza,per fugare i dubbi sulla sua gravidanza (aveva ben quarant'anni) e legittimare così il figlio al trono del regno di Sicilia.

LENTEZZE Da Jesi verso Cupramontana si abbandona la statale (cartina alla mano, ché il navigatore satellitare della Grand Vitara si dimostra un po' incerto)per inoltrarsi fra le colline coltivate a verdicchio, un'uva endemica che dà un bianco fra i migliori d'Italia. Certi contadini, gelosissimi dei loro vigneti, riescono a portarlo a sedici gradi: qui lo si beve per accompagnare l'agnello e il maiale alla brace, la pasta al forno o gli straordinari salumi, più che il pesce, e del resto il pesce è consuetudine metterlo in tavola soltanto il venerdì.

BORBOTTII La Grand Vitara si arrampica bene sulle strade in forte pendenza, affronta i tornanti con sicurezza, si finisce col perdonarle il borbottio del diesel che a tratti contrasta con il silenzio della natura intorno. La costa dell'Adriatico non è che a quaranta chilometri, ma potrebbe essere a quattrocento. Le colline, ora dolci, ora aspre, sono come un campionario di stoffe di cento tonalità di verde, di trame diverse, gettate in terra alla rinfusa fino all'orizzonte. Ogni centimetro è arato, dissodato, coltivato con tenacia per strappare alla natura tutto ciò che essa può dare.


MONASTERI E GALLERIE
Ci fermiamo a Scisciano, il più suggestivo dei Castelli di Jesi, fondato nel X secolo: una dozzina di case di pietra aggrappate alla collina di tufo, la cinta muraria, il campanile. Prima di essere castello fu centro monastico alle dipendenze della vicina abbazia di S. Elena, poi borgo fortificato del contado di Jesi, oggi è un gioiello semiabbandonato.Nelle sue viscere di tufo si aprono gallerie che nessuno ha esplorato fino in fondo: una di queste sfocia nella valle sottostante, a parecchie centinaia di metri. Gli abitanti, qualche dozzina, la usarono per l'ultima volta durante la seconda guerra mondiale, per sfuggire alle truppe tedesche venute a rastrellarli, e non v'è dubbbio che la userebbero di nuovo in questo secolo, nel caso dovessero arrivare in visita troppi turisti di ugual nazionalità. Saliamo nella piazza, tanto angusta che starebbe stretta a un presepe vivente.

CONTORSIONISTA La giapponese passa attraverso l'arco d'ingresso a sesto acuto, appena più largo di lei, senza troppe contorsioni: basta ripiegare all'interno gli specchietti. Mille anni fa un carro avrebbe avuto più difficoltà. Un abitante del posto ci vede, squadra la macchina, chiede conferma che sia la nuova, commenta: certo che non è piccola. È il suo modo per dire che gli piace. In effetti, parcheggiata contro le mura antichissime, la Grand Vitara non stona: adesso ha più l'aria del Suv, non nel senso che è ipertrofica e arrogante (nonostante la livrea nera), ma che non sembra un fuoristrada.


DEA CUPRA
Proseguiamo inerpicandoci fra le colline. A pochi chilometri incontriamo Poggio Cupro, anch'esso un antico borgo vassallo di Jesi. Il nome, come quello della vicina Cupramontana (che di montano non ha nulla, visto che è ad appena cinquecento metri sul mare), deriva dalla dea Cupra, una divinità etrusca. Il castello è piccolo, pietroso. Sulla piazzetta, una chiesa romanica semplicissima, alla quale, in epoca rinascimentale, è stato trapiantato un portale di marmo di straordinaria fattura. I viottoli di pietra all'interno delle mura sono in tutto due (ripetiamo: due), e dopo l'esperienza di Scisciano (dove il viottolo è uno solo) abbiamo ritenuto superfluo percorrerli in automobile.


CUPERTELLE
Invece siamo andati sull'altro lato del fiume, nell'ex Stato Pontificio, oltre la frontiera che in un certo senso è frontiera ancora oggi: a pochi chilometri di distanza si parla un dialetto tutto diverso, si mangiano specialità diverse (in tavola compare il cinghiale), diverso è il modo in cui si vive la fede. Serra San Quirico è un borgo pressoché unico in Italia, e due sono le cose che lo rendono tale: la prima è un camminamento coperto (detto "copertelle") che corre nel corpo interno delle mura difensive del XII secolo e che per l'epoca rappresentava un'innovazione geniale nel campo dell'architettura militare.

RAPPRESAGLIA La seconda è che Serra, nonostante gli abitanti siano profondamente religiosi, è il paese con la più bassa affluenza alla messa domenicale: per rappresaglia. La storia risale al 1810, quando il parroco del paese fu assalito da tre rapinatori che lo ferirono con una rivoltellata. Il prete sopravvisse, i briganti furono condannati a morte, il Papa concesse la grazia, il parroco occultò di proposito la missiva fino a condanna eseguita. Quando i serresi vennero a saperlo, giurarono che non avrebbero più messo piede in chiesa, e così la maggior parte di loro ha fatto negli ultimi due secoli.


TERRA BIANCA
Da Serra San Quirico verso Arcevia la strada si fa a ogni curva più stretta e tortuosa, a tratti diventa terra bianca che taglia il verde dei campi a perdita d'occhio, la giapponese si trova a suo agio e i profili neri finalmente schizzati di fango sembrano più congruenti. I tre castelletti più belli e isolati della zona sono Montale, Piticchio e Loretello, incastonati da dieci secoli in cima alle rispettive colline come pezzi di un gioco di scacchi. Sono gli archetipi del castello come ce lo siamo sempre immaginato, con le torri di guardia, le mura merlate, l'immancabile chiesa e l'arco che un tempo si affacciava sul ponte levatoio.


DOLCE
NAUFRAGARE Attorno a Loretello si spalanca ancora il fossato, che i secoli di sedimentazione del terreno non sono riusciti a colmare. L'unica via di accesso è una stradicciola sospesa su una sorta di viadotto in miniatura, costruito con la pietra locale quando si decise che il ponte levatoio non serviva più: accadde all'inizio del '600. L'abbiamo superata con la Grand Vitara, che ha dato l'ennesima prova di agilità. Siamo arrivati sulla piazza deserta, abbiamo parcheggiato occupandone un quarto buono, ci siamo affacciati alle mura ad ammirare le colline che si estendevano fino all'orizzonte, un paesaggio solenne e immutato dal Medioevo, e soltanto qui abbiamo capito l'ultima riga dell'Infinito: e il naufragar m'è dolce in questo mare. Sarebbe troppo facile scrivere che da queste parti il tempo sembra essersi fermato, e sarebbe anche sbagliato: forse scorre semplicemente alla giusta velocità.


Pubblicato da Sergio Ramazzotti, 19/01/2007
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