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Prova su strada

Su strada con la Jaguar XK my 2003


Avatar Redazionale, il 28/10/02

22 anni fa -

Jaguar fino al midollo. Due porte, due versioni, due lettere. XK. Ecco la nuova generazione della sportiva di lusso, presentata al mondo nel 1996: novità e tradizione, concetto di coupé e cabrio per il giaguaro-pensiero. Nuovi motori, un migliaio di particolari inediti, manciate di elettronica: la sportiva di serie più veloce di Coventry.

COM’È

Classe e portamento non si inventano, diciamolo subito. Il gattone a quattro ruote, elegante e sinuoso, tra curve, proporzioni armoniche e un tot di cattiveria mai esasperato, ne è un chiaro esempio. Volutamente inalterato l’aspetto esteriore, qualche ritocco qua e là, quello sì: i gruppi ottici anteriori hanno ora cavità nere anziché cromate, la modanatura sopra la targa posteriore è in tinta con la carrozzeria, ci sono tre nuovi cerchi in lega, quattro nuovi colori (blu, verde e due differenti neri) e la possibilità di sbizzarrirsi negli abbinamenti degli interni.

NOVITÀ

E poi le duefacce, la "8" e la "R", ovvero la versione aspirata e quella sovralimentata, disponibili poi nelle vesti di coupé o di convertible, con motori potenziati rispetto a quelli che sostituiscono, un nuovo cambio automatico a sei rapporti, che continua a snobbare altezzoso la modalità sequenziale – troppo poco charme – e tecnologia delle più avanzate. Con ordine.

MOTORE AZIONE

Parliamo subito del gioiellino sotto il cofano. Il V8 di 4.2 litri, timbrato AJ34, leggero e robusto, con sistema di fasatura variabile VCP e una discreta cavalleria: 298 cv (219 kW) a 6000 giri e 395 cv (291 kW) a 6100 giri rispettivamente per la XK8 e la XKR, con 411 Nm a 4100 e 541 Nm a 3500 di coppia massima. Monoblocco e testate in alluminio, quattro alberi a camme in testa comandati a catena, quattro valvole per cilindro, sistema elettronico di gestione. Tradotto: velocità massima autolimitata a 250 orari e accelerazione da zero a cento che va dai 6,6 secondi della "8" aperta ai 5,3 della "R" coupé. E consumi misti nell’orbita dei 12 litri per 100 km.

QUALE MANUALE

Primo cambio automatico "classico" con sei rapporti al mondo: ci tengono a sottolinearlo gli uomini del felino. L’ingranaggio, già utilizzato sulla S-Type R, non è una trasmissione a variazione continua, bensì altamente tradizionale, nel suo bel selettore "J Gate". C’è il controllo "Mechatronic" con il cambio marcia adattiva che tiene conto sia delle condizioni stradali sia dello stile di guida. E la griglia a J, con il lato destro (Park, Reverse, Neutral e Drive) per non pensare minimamente al cambio e quello sinistro per lo sfizio di – credere di – selezionare manualmente le marce, con il cervellone che, comunque, continua a vedere e provvedere. Due le modalità, azionabili dall’apposito comando sotto la griglia: Normal e Sport.

AUSILII

La monoscocca a due porte, rigida e leggera, è la base sulla quale è stato costruito il telaio. Le sospensioni: quella anteriore è indipendente con doppi bracci trasversali di lunghezza diversa, molle elicoidali e ammortizzatori telescopici, la posteriore ha uno schema a bracci trasversali con i semiassi che fungono da bracci superiori, studiata per evitare al retrotreno di sedersi in accelerazione. Freni Brembo, e si è detto tutto, con la chicca della versione "R-Performance" sulla supercharged. E tanta elettronica: controllo dinamico della stabilità (DSC), l’ausilio alla frenata di emergenza (EBA), il controllo attivo delle sospensioni Jaguar (CATS), oltre agli airbag con tecnologia attiva (A.R.T.S.). Fino al controllo della velocità di crociera attivo (ACC) con l’inedita funzione Forward Alert che emette una segnalazione acustica in caso di traffico in fase di rallentamento. Elettronica, neanche a dirlo, è la capotte sulla convertible: si apre e si chiude in venti secondi, fino a una velocità di 15 km/h.

PREZZI

: si va dai 76.050 Euro della XK8 4.2 V8 Coupé ai 97.920 della XKR 4.2 V8 Convertible.

COME VA

Pioggerella a Monza, autodromo di Monza, un peccato. Le Jag a pettine sulla corsia dei box sono sempre un bel vedere, nonostante il principio di nebbiolina e il freddo di fine ottobre. Difficile riconoscere le "R" dalle aspirate, viste le minime differenze estetiche (etichette sulle fiancate, logo sull’estremità del cofano, spoilerino in coda). Piombiamo su una "8", just to start. Coupé. La seduta non perdona stature superiori alla media nazionale, si giocherella con le sistemazioni elettroniche del sedile e del volante a quattro razze, con base e sommità in legno, ma i capelli sfiorano sempre il tetto. In caso di acquisto dovrò optare per la cabrio.

SALOTTO VOLANTE

Si respira il blasone, e girando la chiave il V8 si fa sentire tra radiche e pellami. Leva in "D" e trotterelliamo fuori dalla corsia dei box, evitando partenze alla Irvine, così di primo acchito. Poco tempo per fingere disinteresse: mettiamo le ruote sulla pista e giù a pestare sul gas, quale aplomb e aplomb. L’inglesina scala alla marcia più bassa con buona rapidità, eleva lo stuolo di decibel, ma non si sbrana l’asfalto brianzolo, non è roba, la classe esige contegno. Misura. L’ago del contagiri non esplode verso il rosso, ma ci va con eleganza, fluidità. Prima variante, si frena, destra-sinistra piuttosto lento, già tutto: zia elettronica ogni tanto si fa sentire, non troppo invadente ma c’è. Le marce si snocciolano al limite del rosso (siamo in "S") il comfort non fa una grinza.

GUANTI BIANCHI

Ascari, Roggia, l’assetto della XK8 non è certo da speciale rally, preferendo cullare i benestanti passeggeri più che infastidire schiene e animi. Il rollio c’è e si sente, meno il beccheggio (la tendenza a infossare il muso durante le frenate), ma non occorre nemmeno finire il primo giro per capire lo spirito della nuova creatura artigliata. Una vip-lounge su quattro ruote, con la possibilità di non avere eccessivi timori reverenziali ai semafori, ma una certa avversità ai record della pista. Semplice, intuitiva, il cambio che fa tutto da solo, l’elettronica che fa tutto da sola, c’è solo da scegliere il cd da ascoltare.

LA LETTERINA CHE CONTA

Rientriamo e attendiamo il turno per la "R". E che diamine. Eccola che arriva, coupè pure lei. Si ripete la scena all’ingresso (va bene i calciatori, ma i giocatori di basket se la scordino), mentre la pioggerella ha smesso e compare pure una parvenza di azzurro. Corsia box, un occhio allo specchio di sinistra, e dentro. Cento cavalli in più non sono bruscolini. La supercharged fa quella meno compìta di famiglia, va bene il bon-ton ma fino a un certo punto. La ripresina è più disinvolta, il tachimetro meno ingessato, la risposta dell’impianto frenante (maggiorato rispetto alla "8") permette di ritardare la staccata e rallentare con più decisione. Altra cosa.

ON

Un giretto in "D" per vedere come si comporta: bene in accelerazione, con il cambio di marcia, fluido, al limite del fuorigiri, mentre fa rimpiangere il freno motore quando il destro lascia il gas. Nei curvoni veloci si corica un po’ ma poi sta lì, cosa di non poco conto; nei passaggi sul misto continua l’effetto culla, pur senza scossoni o reazioni indesiderate. Beh, l’elettronica... Disattiviamola va: DSC off. E leva sulla parte sinistra della "J", per fare da sé.

OFF

È meno da gomiti stretti a tavola, la "R" liberata dalla supervisione dei chip: dentro le marce, senza una velocità di inserimento da sequenziale (quale non è), aumenta la velocità. Frenatona, scalate sempre un po’ in ritardo e poco decise, misto: scoda addirittura la ragazza, che dopo un paio di calici di Moet-Chandon si è slacciata l’ultimo bottone della camicia. Tenendo giù a Lesmo tende ad allargarsi, controllabile, tagliando sui cordoli non si indispettisce. Un paio di cromosomi senza erre moscia aristocratica ci sono, insomma. Basta scovarli.

GIÙ IL TETTUCCIO

Manca la cabrio. Eccola. Nessun problema di spazio per la testa, effetto Magnum P.I. sulla Ferrari. Via col giro, l’aria non dà così fastidio, merito degli studi in galleria del vento: 150, 180 orari, nessun effetto vortice. Anzi, c’è da godersi l’ultimo scampolo pre-autunnale. Il V8 si fa più rauco senza la capotte, mentre la risposta dell’assetto non si discosta da quella della versione chiusa. Ben fatto. Lo sterzo, come su tutte le versioni, appare un filo leggero a velocità elevate, quasi come nelle manovre per rimetterla a pettine davanti ai box, quando però fa piacere. Lì la rimettiamo, appunto, giornata Jag bella che andata. Pista chiusa. Arrivederci all’english style.

Pubblicato da Ronny Mengo, 28/10/2002
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