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Con le vendite che vanno a gonfie vele, la Mini cavalca l'onda del successo e sforna modelli a raffica. L'ultima nata è la Mini Roadster, prima due posti scoperta della sua storia. Guarda il nostro test.
CRISI? QUALE CRISI? Se in generale il mercato dell’auto boccheggia, c’è chi invece chi brinda ogni volta che esce una statistica con i dati relativi alle vendite. A festeggiare è la Mini, che, non paga di aver chiuso il 2011 con un + 21,7% su scala internazionale, apre il 2012 con uno sorprendente + 50% abbondante sul mercato italiano. Portabandiera in questa avanzata è ultimamente la Countrymanma i vertici della Casa guardano con fiducia al futuro convinti che, nel suo piccolo, possa far bene anche l’ultima arrivata nella gamma, la Mini Roadster, che debutta in questi giorni nelle concessionarie.
LO SGUARDO DI SEMPRE La Mini Roadster rappresenta il sesto modello nella gamma e il primo nella storia del marchio a nascere con una carrozzeria scoperta a due posti. Questa unicità non impedisce comunque alla piccola spider inglese di essere immediatamente riconoscibile come un’erede della prima Mini disegnata da Alec Issigonis. I fari tondi, con il loro sguardo un po’ stralunato, valgono in tal senso come un marchio di fabbrica, più di qualsiasi logo.
INDIETRO TUTTA La sagoma non è invece quella scatoliforme più conosciuta. Il taglio della Mini Roadster, così come già è per la sua gemella Coupé, è invece a tre volumi, con il cofano motore e la coda che si stagliano in modo evidente dal corpo centrale. Il primo non fa segnare novità di rilievo e l’esame della Mini Roadster merita di iniziare a partire dai montanti del parabrezza. Questi ultimi hanno un’angolazione di 30° e sono molto quindi ben più inclinati (di 13°, per la precisione) che non sulla Cabrio a quattro posti.
GIOCO DI MANO Da loro prende il la una capote minimalista, che gira attillata sopra l’abitacolo e che chiaramente si merita il centro della scena. Semplice ma realizzata con cura, di norma va azionata manualmente ma i più pigri possono al limite richiedere anche il ripiegamento elettrico (805 euro), che parte comunque dopo aver sbloccato una maniglia sopra lo specchio retrovisore interno.
A TUTTO VOLUME Una volta ripiegata, la capote scompare alle spalle dei due roll-bar in acciaio che fanno da angeli custodi al pilota e al suo secondo nel malaugurato caso di ribaltamento. Anche da chiusa, la tela ha un ingombro limitato e non incide sulla capacità di carico, che è sempre di 240 litri. Il volume utile è ben sfruttabile e ad aumentare la versatilità provvede un vano passante che permette di stivare gli oggetti più lunghi sconfinando nell’abitacolo. Quest’ultimo è come detto a due posti e nella zona posteriore, al posto del classico divanetto, prevede un furbo ripiano su cui si possono stivare i piccoli oggetti di uso quotidiano.
SPIEGA L’ALA Sempre restando in coda, due paroline le merita anche il piccolo spoiler che si solleva automaticamente quando si superano gli 80 km/h, rientra in sede sotto i 60 km/h e può comunque essere azionato manualmente dal pilota quando meglio crede. Lungi da fare solo scena, assicura in velocità un aumento del carico aerodinamico sul retrotreno fino a 40 kg. Per assicurare il proverbiale kart feeling in assenza del tetto, la Mini Roadster conta comunque anche su un telaio rinforzato, specie nella zona del parabrezza e alle spalle dell’abitacolo, a ridosso della sospensione posteriore. Il suo schema è multilink, mentre all’anteriore trova spazio un tradizionale McPherson. Su entrambi i fronti lavorano barre antirollio.
SI FA IN QUATTRO Quanto ai motori, la gamma della Mini Roadster si articola attorno a quattro alternative. La versione d’accesso è la Cooper, che costa 24.950 euro ed è spinta dal motore 1.600 aspirato a benzina da 122 cv e 160 Nm (9,2 secondi nello 0-100, 199 km/h di velocità massima e una media dichiarata di 17,5 km/litro). Il secondo livello è la Mini Roadster Cooper S, che monta lo stesso motore in variante però Turbo da 184 cv e 240 Nm (7 secondi, 227 km/h e 16,7 km/litro), venduta a 29.950 euro. Chi macina chilometri su chilometri, con ulteriori 1.000 euro in più può invece acquistare la Mini Roadster Cooper SD da 143 cv e 305 Nm (8,1 secondi, 212 km/h e 22,2 km/litro). La primadonna della gamma è infine la Mini Roadster John Cooper Works, che, con i suoi 211 cv e 260 Nm (6,5 secondi, 237 km/h e 13,7 km/litro), ha un prezzo di 34.800 euro.
A PIACIMENTO Oltre a essere la più prestante, la Roadster JCW è anche la più ricca, unica del lotto a disporre per esempio di serie del DTC (Dynamic Traction Control) con funzione di Electronic Differential Lock Control (o EDLC per i più intimi), che si può comunque avere a richiesta su tutte le versioni. E, a proposito di optional, vale la pena di sottolineare come ancora una volta la Mini Roadster consenta possibilità di personalizzazioni quasi infinite, ottenibili dall’incrocio delle otto tinte della carrozzeria e delle sport stripes in contrasto, con un ampio ventaglio di rivestimenti interni e cerchi, senza contare i gadget elettronici (il sistema d’infotainment Mini Connected su tutti) e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso, chi non volesse lasciarsi tentare troppo dal menù degli accessori può contare su una buona dotazione, con standard tra le altre cose i sensori di parcheggio posteriori e uno stereo capace di riprodurre anche mp3 e dotato di presa aux. L’unica nota stonata viene dalla Roadster Cooper, che sarà anche una versione base ma che è colpevolmente proposta, almeno sulla carta, con il climatizzatore a pagamento.
ONE SIZIE FITS ALL Le dimensioni compatte della carrozzeria (373 cm) e quelle striminzite della capote non devono dar adito a pregiudizi. Anche chi ha fatto il militare nei corazzieri può accomodarsi senza problemi alla guida della Mini Roadster. Il pannello della porta non incombe fastidiosamente sul gomito e il rischio d’interferenze con la capote c’è solo per chi ama le pettinature cotonate o creste da punk. Pure in senso trasversale non si sta malaccio e viaggiando in due non ci si trova spalla a spalla come quando ci si schiera in barriera, in attesa di un calcio di punizione.
UN FURETTO La presenza dei sensori di parcheggio nella dotazione di serie non è affatto casuale. Con il tetto chiuso, la visibilità posteriore è molto limitata e l’aiuto dell’elettronica risparmia parcheggi in stile tuca-tuca. In ogni caso gli ingombri ridotti e il diametro di sterzata da carrello del supermercato permettono alla Mini Roadster di muoversi con agilità anche negli spazi stretti. La maneggevolezza continua a essere uno dei pezzi forti della piccola scoperta anche al di fuori dei parcheggi. Nel traffico sguscia svelta e quando ci si trova nelle rotonde della periferia sfodera una rapidità nei cambi di direzione degna del Tomba dei giorni migliori.
QUESTIONE DI FEELING In questi frangenti lo sterzo lavora molto bene assicurando un filo diretto tra i movimenti delle mani del pilota e quelli delle ruote sull’asfalto. Le cose vanno a meraviglia in fase d’inserimento in curva e pure in percorrenza, mentre in uscita di curva, se si entra in scivolata sull’acceleratore con il volante girato, si possono verificare reazioni che portano il comando a indurirsi. La cosa non è una novità per chi guida le piccole inglesi e rappresenta anzi una caratteristica comune un po’ a tutte le Mini (specie a quelle più potenti), costituendo uno degli ingredienti del celebre kart feeling che la macchina vuole dare. Quando il raggio delle curve si fa più ampio, la Mini Roadster non fa una piega, nel vero senso della parola. Il suo telaio, compatto e sapientemente rinforzato, permette di pennellare le linee ideali senza sforzo e nervosismo, regalando un piacere di guida che è merce sempre più rara oggigiorno.
AL PASSO Guidare con il coltello tra i denti, però, non è affatto obbligatorio, tutt’altro. Ci si può infatti godere la Mini Roadster in santa pace trotterellando con magari la capote abbassata. La macchina non è certo di quelle con l’assetto soffice ma se si evitano i crateri che si aprono sull’asfalto e riduce quanto basta la velocità sui rallentatori le terga non hanno molto da temere. La silenziosità è discreta con la capote che fa il lavoro onestamente e i motori che hanno una voce nel complesso piacevole.
VIA COL VENTO Quando la capote è abbassata (e ripiegarla è davvero un gioco da ragazzi, senza nemmeno doversi muovere dal sedile), si viaggia con il vento tra i capelli e anche qui non solo per modo di dire. Se già ci avventura a velocità da strada statale, e quindi prima dei 100 km/h, la quantità d’aria che arriva ai passaggeri consiglia d’indossare almeno un cappellino, se proprio non ci si vuole rassegnare all’idea di acquistare e montare il frangivento.
A VOI LA SCELTA Quanto infine ai motori, tutti vecchie conoscenze, ciascuno si rivolge a un tipo di clientela ben preciso e ha tutte le carte in regola per soddisfare determinate esigenze. Per chi volesse godersi tranquillamente il panorama chiaramente la scelta migliore è quella della Cooper normale, che assicura una discretta brillantezza e una buona fluidità a prezzi ancora ragionevoli. La Cooper S, con il suo surplus di grinta disponibile sin dai regimi più bassi, rappresenta forse il miglior compromesso per chi nella macchina cerca anche un oggetto sfizioso. La Cooper SD è ottima per gli stakanovisti del volante che non si rassegnano all’idea di far strada su una macchina “normale” mentre la John Cooper Works resta la cura più efficace per i pruriti cronici al piede destro.