Una mezza carena buona un po' per tutto, motori interessanti, prestazioni vivaci. Così le sportive in minigonna ammiccano al mercato e rilanciano la sfida Europa-Giappone. Da una parte la trecilindri Triumph Sprint RS, dall'altra la bicilindrica Honda VTR Firestorm. Due diverse interpretazioni del tema della sportiva stradale.
Quello degli smanettoni è un popolo di esagerati. La moto deve essere la più potente, la più leggera, la più veloce di tutte. Salvo poi non poterla sfruttare se non in pista e rimanerci male se qualche "stradista" ci "suona" su quello che ritenevamo il nostro percorso preferito. Su strada, tanti cavalli non servono, ne bastano un centinaio per andare molto forte, se poi vogliamo aggiungere un’erogazione forzuta ai medi regimi ecco trovata la ricetta vincente per una moto sportiva, certo non eccessiva, ma molto, molto efficace.
RICETTA PERFETTA L'idea non è certo nuova e trova sul mercato parecchie interessanti interpretazioni e variazioni sul tema. Come quelle di Honda Firestorm e Triumph Sprint RS, per esempio, entrambe caratterizzate da un piacevole vestitino attillato che lascia scoperta una parte di motore. Piacevoli, veloci, ma spesso, ingiustamente, poco considerate al momento dell’acquisto.
INCOMPRESE Un po’ schiacciate tra le naked vere e proprie e le sportive tout court, le semicarenate compongono una nicchia spesso incompresa. Sinceramente non si capisce il perché, queste moto rappresentano la soluzione ideale per un utilizzo stradale, anche sportivo. Hanno una protezione dignitosa, ciclistiche raffinate, freni al top, prestazioni sempre sfruttabili su strada. Soprattutto non si tirano mai indietro, che si tratti di partire per le vacanze, di fare una sgambata veloce sull’Appennino o, ancora, di fare qualche sfuriata in pista.
DUE CONTRO TRE
La VTR 1000 F e la Sprint RS sono diverse, perché pur rientrando nella stessa categoria sfruttano motorizzazioni differenti. Sbirciando sotto le gonne si nota come Honda si sia affidata ad un grintoso bicilindrico a V mentre la Triumph abbia optato per i tre cilindri.La VTR-F, in particolare, è stata la moto che ha segnato l’inizio dell’era bicilindrica tra le sportive di casa Honda: quattro valvole per cilindro, cilindrata DOC (996 cc vi dicono niente?) cambio a sei marce. È un motore molto evoluto ma che curiosamente rinuncia all’iniezione elettronica, sostituita da due ingordi carburatori da ben 48 mm (i più grandi mai montati su una moto di serie). Tecnologicamente, quindi, vince la sfida la Sprint.
HORSE POWER Sulla versione 2002 è montata l’ultima edizione del tre cilindri 12 valvole, sviluppata a Hinckley, quella derivata direttamente dalla sportivissima Daytona: 955 centimetri cubi abbeverati da un sistema d’iniezione elettronica per fornire 120 cavalli a 9100 giri e una coppia massima di 100 Nm a 5100 giri. Valori leggermente superiori a quelli espressi dal bicilindrico Honda che di cavalli ne mette in fila "solo" 110 a 9000 giri; la coppia invece è molto simile: 97 Nm erogati però ad un regime più elevato del triple inglese: 7000 giri.
TUTTO ALLUMINIO
Poi però, la VTR si rifà sulla bilancia mettendo in mostra un peso piuma di 192 kg, 7 in meno della Sprint. Soluzioni simili per le ciclistiche dove trionfa l’alluminio per telai e forcelloni, anche se la Honda utilizza la soluzione "pivotless" che sfrutta il motore come elemento stressato, fissando il forcellone sul motore stesso e rinunciando quindi alle piastre laterali del telaio.TRADIZIONE INGLESE La stessa soluzione è utilizzata dalla pirotecnica Fireblade e consente di ridurre il peso senza penalizzare la rigidità della struttura. Più tradizionale la Triumph che, anziché seguire la strada intrapresa dalla Daytona con un simil-traliccio d’alluminio, si affida ad un lineare doppio trave tristemente verniciato di grigio. SOSPENSIONI: VINCE LA HONDA Ovviamente, una moto che si definisca sportiva non può più prescindere dall’avere sospensioni regolabili. In questo Honda fa qualcosina in più, offrendo le stesse regolazioni (precarico molla e ritorno idraulico) per forcella e ammortizzatore. Un pelo più semplificata la Sprint, la cui forcella è regolabile esclusivamente nel precarico molla.
DISCHI AL TOP Dove la Triumph esagera è invece nei freni, con due padelloni da 320 mm morsicati da aggressive pinze a quattro pistoncini, le stesse che mordono i dischi della VTR che però sono da 296 mm. Generose anche le dimensioni del disco posteriore (255 mm) mentre la Honda si ferma a 220 mm.
SFUMATURE
Più sportive o più turistiche? Volendo entrambe le cose, anche se le sfumature pendono da una parte o dall’altra secondo la moto presa in considerazione.AGILE LA HONDA
La VTR fa dell’agilità il suo punto di forza; è più leggera, vivace, merito di un peso globalmente più limitato e di misure più compatte (1430 mm d’interasse). Piccola lo è davvero la Honda, quando si sale si ha l’impressione di salire su una seicento e non certo su una mille. La sella è bassa, il manubrio compatto è lì sotto il naso, il serbatoio (aumentato di capacità nell’ultima versione) corto e stretto, l’ergonomia è quella solita di Honda: perfetta.MANNEQUIN Insomma la VTR ha misure da mannequin più che da pin up e tutta questa compattezza è vincente quando occorre sbattere la moto di qua e di là tra le curve di una strada di montagna o magari in pista. In questo caso la VTR riesce a fare l’andatura, imprimendo un ritmo molto elevato. È agile, reattiva, e tra le doti maggiormente apprezzabili del motore c’è anche quella di spingere con vigore a qualsiasi regime senza mai mettere in difficoltà.
VTR TRADITRICE Non c’è un deciso cambio di carattere, la lancetta del contagiri sale decisa ma senza impennate fino ai 9500 giri della zona rossa, e il bicilindrico offre il meglio quando è tenuto sopra i 4500 giri. La sensazione, alla fine, è quella di non fare strada, invece il tachimetro sale in fretta e se si guida poco concentrati si finisce sempre per arrivare lunghi in frenata perché sembra di andare più piano di quello che in realtà si va.
STABILE LA TRIUMPH Scendere dalla Honda e salire dalla Triumph è un po’ come passare dalla sedia della cucina al divano del salotto. La Sprint ha dimensioni più abbondanti e accoglie il pilota con una sella molto morbida (ma alla lunga fin troppo cedevole), pedane meno rialzate e arretrate e uno spazio abitabile più abbondante. È più alta, lunga, grossa e ha una posizione meno caricata sull’avantreno. Insomma pare più propensa a macinare chilometri in autostrada che ad essere violentata tra staccate e accelerazioni. Invece, il suo comportamento morbidoso nasconde prestazioni notevoli, addirittura superiori alla VTR.
A TUTTA COPPIA Il tre cilindri spinge pastoso ad ogni regime, ai bassi è addirittura più pieno del twin giapponese (penalizzato anche da una
rapportatura piuttosto lunga) e decisamente elastico. Così la Triumph guadagna metri in accelerazione e ripresa, accompagnata dal sound inconfondibile del triple, purtroppo un po’ soffocato dal silenziatore originale. Peccato che questa pienezza d’erogazione sia sporcata da un "buco" dai 6000 ai 7000 giri, regime in cui il tre cilindri sembra fermarsi e rifletterci un po’ su prima della sparata finale verso il limitatore.
STABILITA' Comunque la grinta non manca di sicuro. Quello che piace di queste moto è la capacità di mettere a proprio agio chi guida con ciclistiche molto facili e motori dal grande tiro ai medi regimi, che poi sono quelli che servono su strada. La maggior lunghezza della Sprint (1470 mm d’interasse) si traduce anche in una maggiore stabilità sul veloce; non che la VTR sia nervosa, ma sicuramente tra le due la Triumph è quella con l’avantreno più piantato per terra.
CURVE, PLEASE
Se la strada si fa tortuosa e il ritmo elevato, la VTR fa valere la sua maggior reattività. La Sprint in questi casi risente del maggior peso, ha più inerzia e per andare forte richiede anche di essere tirata a dovere di sospensioni che comunque restano sempre un pelo morbide, soprattutto la forcella. Peccato, perché l’equilibrio ciclistico della Triumph non è in discussione, la discesa in piega è omogenea e sincera e volendo si arriva senza troppo sforzo a grattuggiare le pedane sull’asfalto. Con sospensioni più rigorose sono sicuro che la Triumph potrebbe dire la sua. Anche perché l’impianto frenante è davvero eccellente. I due dischi anteriori sono aggressivi, lo sforzo alla leva (regolabile nella distanza su 5 posizioni) modesto, anche se la corsa della stessa è un po’ troppo lunga.La VTR, invece, richiede che la leva (anch’essa regolabile come quella della frizione idraulica, assente invece sulla Sprint) sia strizzata a dovere per ottenere la giusta grinta. L’impressione è però quella che l’impianto della moto in prova fosse particolarmente stanco perché a memoria mi ricordavo su altre VTR una frenata ben più grintosa.
AUTOSTRADA
Dove senz’altro l’inglesona non delude è invece nei percorsi veloci, magari quelli autostradali. Alla fine di un lungo viaggio il Triumphista scenderà senz’altro meno affaticato rispetto al possessore della VTR. Il motore non vibra, la posizione è globalmente più rilassata.La posizione più raccolta che impone la VTR è invece anche un po’ più stancante, e il motore Honda si fa sentire di più (non sono vibrazioni, intendiamoci) man mano che aumenta la velocità (e ovviamente il regime del motore): le pistonate del Twin si fanno più evidenti su pedane e manubrio.
PAREGGIO Alla fine però la VTR pareggia il conto con la protezione aerodinamica. Il suo cupolino è più basso di quello della Sprint ma è anche più vicino al pilota, per cui alla fine non si avvertono grandi differenze tra le due. Per entrambe non si può certo parlare di protezione da GT ma le semicarenature sono piuttosto efficienti e consentono di tenere medie piuttosto elevate senza che il collo ne risenta troppo.
VIVA LA MINIGONNA La minigonna, dunque, basta e avanza. E, visto che le due moto spendono poco in abbigliamento, riescono anche a costare cifre ragionevoli. Un po’ meno la Sprint che si mantiene pudicamente al di sotto il tetto dei 10.000 € (precisamente 9.500), un po’ di più la VTR, venduta a 10.850 €. Cifre giuste per due moto eclettiche e in grado di dare parecchie soddisfazioni.